soft drink
25 Giugno 2020
“Peccato” – si lascia sfuggire Mario Carbone account director di Iri. “Proprio adesso che il mondo dei soft era riuscito a imboccare la via del cambiamento, è arrivata la batosta inferta dalla pandemia”. “Il calo sarà epocale” – ammette – “anche se dai dati ancora non appare in tutta la sua consistenza”. E in effetti, guardando le performance di gennaio del comparto dei soft, e degli aperitivi in particolare, quella che emerge, come anticipato, è una realtà decisamente dinamica. “Che deve essere letta – precisa subito Carbone – alla luce dell’aperitivo da miscelazione. Perché di fatto è la mixability oggi la nuova chiave di lettura, la nuova cifra identitaria di un mercato che tende a svincolarsi dalle commodities, per “nobilitarsi” grazie a occasioni di consumo a più elevato valore aggiunto. Come i cocktail, appunto, in grado di offrire un bere ‘diverso’”. “E questo vale – prosegue – sia per gli aperitivi alcolici che per i non alcolici”. “I primi, che comprendono, per esempio, Aperol, Bitter Campari, Martini Vermouth, Campari e Aperol Soda hanno infatti un trend di crescita del 12,1% a valore e del 9,4% a volume. Nel comparto, un piccolo cedimento lo si nota sul prezzo medio dei premix alcolici, in quanto i grossisti li hanno spinti tramite l’imposizione di prezzi più bassi”.
“Per quanto riguarda il totale aperitivi analcolici, tra cui ricordiamo Crodino e Sanbitter nelle loro molteplici declinazioni, si nota un +9,7% a valore e un +6,5% a volume sul totale comparto. Con qualche segno di stasi, però, sui monodose, che soffrono un po’ al bar (dove faticano a giustificare il loro prezzo), salvo poi trovare (anche in questo caso) il loro momento di riscatto nel tumbler”. “In effetti a voler guardare tutto il comparto analcolico, possiamo dire che il faro è sempre la mixability: i prodotti che riescono ad entrare nella sua sfera ne escono rinvigoriti, penalizzati gli altri. Diciamo pure che, a parte le cole (sostenute dalle varianti “salutistiche” senza zucchero e caffeina) i soft classici – estranei all’agone della miscelazione – soffrono. Come le aranciate, per esempio, che sono caratterizzate da un andamento flat. E ovviamente la campagna contro le bevande zuccherate non le ha sicuramente aiutate”.
“Sorte diversa, invece, quella di toniche e ginger, che si sono reinventate nella preparazione dei cocktail e sono rientrate in questo processo di premiumizzazione di prodotto, strettamente collegato alla crescente specializzazione dei locali e della loro offerta”. “Lo dimostrano prodotti di tendenza come la tonica Thomas Henry di Campari o la Fever Tree di Velier: basta un’accurata strategia di marketing, magari con un bartender di grido, ed ecco che la bevuta acquista valore e il prodotto crescente successo, complice – magari – il locale serale e trendy di turno…”. “Una strada rodata, questa, intrapresa con risultati interessanti anche dal mondo degli energy: esempio classico quello di Red Bull che ha saputo trovare nuovi spazi nella miscelazione serale insieme alle toniche”. Come vede – conclude Carbone – si stava portando avanti un gran lavoro (e si cominciavano a mietere i primi successi), proponendo prodotti validi, in varie occasioni di consumo e con un posizionamento premium. E’ un vero peccato che ci si sia dovuti fermare. La speranza è che la ripresa, quali che saranno i suoi tempi, potrà avvenire senza mandare in fumo queste conquiste”.
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