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Fiori italiani, tecnica e una visione firmata Dom Carella. Ecco com’è davvero
Quando arrivo da Giardino Cordusio, all’interno del cortile dello storico Palazzo Venezia di Milano ora Palazzo Cordusio Gran Meliá, l’aperitivo è nel pieno. Il lancio della nuova drink list “Liquid Blossoms” è il pretesto, ma l’impressione è che qui l’attenzione ai dettagli non sia un’operazione di facciata. La sala gira bene, il ritmo è quello giusto, e l’accoglienza è misurata.
Prima di sedermi al banco, Dom Carella, co-founder Carico e Ultra a Milano, F&B developer Arkana Consulting che ha sviluppato il concept, mi chiarisce subito l’impostazione: «Abbiamo lavorato come si lavora in cucina: partire dall’ingrediente e restituirlo senza travestimenti. I fiori dei nostri giardini sono un patrimonio italiano, e volevamo riportarli nel bar senza folklore, con una miscelazione che parla di territorio e contemporaneità. Anche il menu del bistrot contribuisce a questa idea di italianità: salumi affettati al momento (la Berkley in sala lavora senza sosta mentre parliamo, ndr), preparazioni essenziali, un servizio che accompagna senza sovraccaricare. Bar e tavola devono stare sullo stesso registro».
I cocktail provati al banco
È un’impostazione che ritrovo subito nei bicchieri e nella proposta food, che accompagna senza invadere. Il primo cocktail che assaggio è il Gelsomino, servito in coppetta con un grande cubo inciso GC, dettaglio semplice ma efficace: dice subito dove sei. Giorgio Simone Porreca, head bartender, racconta il procedimento con chiarezza: «Partiamo da un tè al gelsomino. Poi infondiamo il pandano essiccato, che dà note calde senza zuccherare. Il cordiale deve restare lineare, non dolce».
Nel bicchiere questa impostazione è evidente: gin e cachaça si incontrano senza sovrastare il fiore, il pandano, caldo e leggermente tostato, spezza il rischio “profumino” e consegna un drink da aperitivo, non da dopocena. Il servizio accompagna l’idea del giardino: un cestino edibile in carta di riso, con crema al pandano. Curioso, piacevole, anche se la forza del cocktail sta nel bicchiere, non nel side. Anche il food segue la stessa logica: giardiniera fatta in casa, acida e precisa; olive ripiene con salsa tonnata; pane croccante e mortadella affettata al momento; una maionese alla senape che arriva dalla cucina senza inutili complicazioni. È una selezione essenziale ma curata, pensata per dialogare con i cocktail senza interferire con il loro profilo aromatico. In molti bar questa parte resta anonima; qui, invece, è calibrata e utile.
Il secondo assaggio è l’Osmanto, probabilmente il drink più tecnico della lista. La struttura parte da una base Tequila, a cui si aggiungono un cordiale di osmanto, zenzero, foglie di fico e un tocco di Arneis. «L’osmanto porta acidità, le foglie di fico danno una nota che ricorda la frutta secca. Il resto serve a tenere il drink in equilibrio», mi spiega Porreca. La particolarità è in superficie: un monticello di ghiaccio kakigori, finissimo, quasi neve. Non è ghiaccio tritato: è ghiaccio raschiato, secondo la tecnica tradizionale giapponese, che permette di ottenere scaglie leggere e irregolari, capaci di sciogliersi rapidamente e modificare la bevuta. Qui la granita è preparata con frutti rossi e spezie messicane, e con il calore del bicchiere rilascia progressivamente aromaticità e un leggero piccante. I primi sorsi sono netti; dopo qualche minuto emergono spezie, frutti rossi e una sfumatura smoky. Non è un artificio: è una scelta tecnica che cambia davvero il drink nel tempo.
Un progetto che punta alla coerenza
La drink list include fiori diversi - Tagete, Ibisco, Rosa, Crisantemo, Lavanda, Osmanto e Gelsomino - ma li tratta con lo stesso approccio: niente zuccheri superflui, niente infusi caricati, nessun eccesso decorativo. Il contributo del fiore è leggibile e riconoscibile. La filosofia di Carella, ispirata alla cucina per rigore e rispetto della materia, trova una traduzione efficace nell’esecuzione pulita del team di Porreca.
Sono sette drink coerenti, leggibili, italiani nell’impostazione più che nel cliché.
Perché questa drink list funziona
Liquid Blossoms funziona perché tratta il fiore come un ingrediente tecnico e non come elemento estetico; perché introduce nel panorama italiano un uso consapevole del kakigori; perché costruisce una carta coerente, senza sovrastrutture; perché propone un’italianità botanica e contemporanea, mai folkloristica. E soprattutto perché - provati al banco - i drink stanno in piedi: raccontano una visione e funzionano nel servizio reale.
Un’ultima nota riguarda il nuovo format del bistrot, che affianca due piatti signature a due classici della miscelazione: Tagliolino ai due pomodori con Negroni in anfora, oppure Truffle Club con Martini. È una proposta semplice, centrata sull’equilibrio e sull’essenzialità, perfettamente allineata allo stile del locale.
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