pubblici esercizi

12 Settembre 2013

La crescita del biologico fuoricasa

di Anna Muzio


La crescita del biologico fuoricasa

L'impetuosa avanzata del biologico in horeca. I numeri del settore.

Una grande avanzata. Il biologico sbarca nel fuori casa ed intende restarci. Difficile avere dei dati certi per un mondo variegato in cui entrano locali di cucina vegetariana e vegana, tradizionale, macrobiotica, per allergie e intolleranze e pure etnica. Ci dà un aiuto Biobank che dal 1993 censisce ogni anno gli operatori del biologico e che nel 2012 ha rilevato 301 ristoranti concentrati nel Centro Nord, tra cui 65 bar, con una crescita del 13% sul 2011. Un trend confermato dai primi dati del 2013 come spiega Rosa Maria Bertino. «I giovani che aprono oggi scelgono il biologico, anche perché vedono che i locali classici faticano. I locali bio invece, dopo una fase di arresto, dal 2008 sono cresciuti del 51%. È un trend irreversibile che inizia ad essere radicato nei desideri dei consumatori, un po’ come succede in Nord Europa».
Nonostante la crisi il bio fa sempre più parte della vita quotidiana, è presente nei supermercati e grandi realtà come Ikea lo propongono nell’area ristorazione in versione low-cost per darsi un’immagine ecologica. Il bio entra anche nei bar classici, con nuovi prodotti accessibili anche a chi non fa del green una filosofia di vita e di lavoro: caffè equo, frullati, tisane ma anche snack, succhi di frutta, yogurt, latte di soia per coprire il mercato delle intolleranze, macedonie e insalate di IV gamma. Un bio insomma che incrementa in numeri ma anche in referenze e in qualità".

«La gente vuole sapere che cosa mangia anche fuori casa ma l’offerta è scarsa - dice Roberto Pinton, segretario Soci Trasformatori/Distributori di Federbio -. Riguardo al prezzo, non è sensato raddoppiarlo. In genere il biologico al bar costa un 10% in più. Gli ingredienti bio sono più cari ma sono i costi generali ad incidere. La speranza è che aumentando le vendite calino i prezzi, cosa che è già successa negli ultimi 5-10 anni grazie alla Gdo».
È un’offerta che esce dalla nicchia per un consumatore che cambia: «Meno intransigente, cerca la qualità e il prodotto buono e salutare. In prevalenza donna, giovane, è l’impiegato, libero professionista o insegnante con una buona cultura – continua Pinton -. Il 70% sceglie bio per questioni di salute e sicurezza, solo il 10% per considerazioni ambientali e animaliste».
Pinton e altri lamentano i danni derivati dal vuoto legislativo. «La normativa UE ha escluso dalla certificazione obbligatoria ristoranti e bar. Alcuni sono entrati in regime di controllo e si fanno certificare dagli enti autorizzati. È prevista la tracciabilità degli ingredienti biologici su tutta la filiera, la grammatura delle ricette con la verifica sulle materie prime acquistate, e visite a sorpresa. Vanno tenuti dei registri di carico e scarico, è una burocrazia che spaventa». Tant’è, molti dei locali che si dichiarano bio evitano il disturbo, e il consumatore non percepisce la differenza. Il ministero non ha una banca dati aggiornata, e come sempre nel mondo del biologico scandali o cattivi maestri che fanno pagare una naturalità inesistente non aiutano.

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TAG: CAFFè DIEMME,BIOLOGICO

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