pubblici esercizi
24 Marzo 2021
Si delineano all’orizzonte alcuni scenari economici post-pandemici, tra rischio default e crisi di liquidità. I settori alloggio e ristorazione, arte e intrattenimento, immobiliare i più sensibili al deterioramento del merito creditizio
Cosa succederà alle imprese e all’economia quando la crisi sanitaria e pandemica sarà superata? Tutti ci auguriamo che si possa tornare alla normalità, ma esperti e alcuni studi mettono in guardia.
Primo tra tutti Mario Draghi, in tempi non sospetti cioè quando ancora non era Presidente del Consiglio, in un report aveva posto l’attenzione sulle aziende zombie, ovvero quelle rimaste a galla solo grazie a misure di sostegno. Con la fine della pandemia e l’allentamento degli aiuti i nodi potrebbero venire al pettine, portando da un lato a un aumento dei soggetti vulnerabili e dall’altro alla possibilità che il contagio si allarghi anche ad alcune banche.
L’Osservatorio monetario dell’Università Cattolica di Milano, appena pubblicato e basato su dati di Banca d’Italia e Cerved, entra ancor più nel merito della questione e indica nei settori alloggio e ristorazione, arte e intrattenimento, immobiliare i più sensibili al deterioramento del merito creditizio. Di fatto per alcune categorie è cresciuta di molto la probabilità di fallimento (in gergo tecnico default) e la situazione dovrebbe restare sostanzialmente immutata per tutto l’anno in corso.
Inoltre c’è un altro aspetto che complica non poco la vita agli analisti economici. Gli aiuti, un po’ a pioggia, hanno sì permesso alle imprese di disporre di liquidità aggiuntiva, e di procrastinare i pagamenti, ma gli stessi hanno avuto l’effetto di tenere nascoste possibili difficoltà finanziarie che evidentemente si sarebbero verificate anche senza pandemia, come evidenzia Mario Anolli, ordinario di Economia degli intermediari finanziari dell’Università Cattolica di Milano, nel capitolo “Gestione del credito e Covid-19“.
È un po’ come il cane che si morde la coda. Il prestito ad aziende non in grado di stare sul mercato autonomamente e che evitano il fallimento solo grazie a un appoggio esterno, danneggia indirettamente le imprese sane, e le banche che effettuano i finanziamenti. Viene infatti a ridursi il credito bancario disponibile per altre realtà economiche e la loro presenza falsa i dati di mercato e nuoce alla concorrenza.
Il timore peggiore è quello che la crisi di insolvibilità dettata da un lato dalla fine degli aiuti e dall’altro da un eventuale aumento dei tassi di interesse, possa far lievitare lo stock di crediti deteriorati (Npl, non performing loans) con l’effetto di ridurre per alcuni istituti bancari la capacità di erogare credito alle imprese. Tra il 2021 e il 2022 si stimano dai 60 ai 100 miliardi di nuovi prestiti deteriorati nel bilancio delle banche italiane.
Anche Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) è preoccupata: a fine giugno 2021 scadono le moratorie su oltre 293 miliardi di euro di prestiti bancari. E 2,7 milioni, tra imprese e famiglie, rischiano di trovarsi in una situazione di dissesto finanziario. Il provvedimento di sospensione contenuto nel Cura Italia di fatto aveva ritardato l’applicazione delle norme europee sui crediti deteriorati, entrate in vigore a gennaio scorso. Dopo giugno quindi i soggetti non in grado di rimborsare gli arretrati potrebbero essere classificati dalle banche in posizione di default.
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