bevande
21 Dicembre 2020
Siamo alla vigilia delle festività più tristi della storia moderna, durante le quali i pubblici esercizi italiani - bar, ristoranti, pizzerie, pub discoteche, attività di catering - sono chiamati a raccogliere i cocci di attività disastrate, abbandonati al loro destino da un governo insensibile agli appelli e alle richieste della categoria. Così in una nota la Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi.
Le nuove limitazioni, ribadisce la federazione, incideranno pesantemente sui già disastrati fatturati: già persi oltre 33 miliardi su 86 complessivi (-38,38%) e gli annunciati ristori, in media 3mila euro ad azienda, risultano inadeguati e insufficienti a compensare singolarmente i danni. Col risultato di disperdere imprese, posti di lavoro e professionalità, fondamentali per due filiere strategiche per il Paese: agroalimentare e turismo. Con l’aggravante che, anche questa volta, ci si è dimenticati delle aziende di intrattenimento, in particolare le discoteche, chiuse da febbraio ed escluse da qualsiasi ristoro, anche parziale.
I pubblici esercizi italiani vogliono poter continuare a lavorare non per mettere a rischio i cittadini, ma per mettere in sicurezza un patrimonio imprenditoriale e sociale che contribuisce al futuro del Paese e non accettano la fastidiosa distinzione tra attività economiche essenziali e non essenziali, che finisce per oscurare la realtà.
Tutte le imprese sono essenziali quando producono reddito, occupazione e servizi e tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e attuano i protocolli sanitari loro assegnati.
Questi provvedimenti offendono i 300mila pubblici esercizi italiani, chiusi da una politica che ha perso credibilità e capacità di funzionamento, perché evidentemente considerati attività insicure ed irresponsabili, nonostante su 6,5milioni di controlli effettuati sulle attività commerciali, ristorazione compresa, solo lo 0,18% ha subito una sanzione, secondo i dati del ministero degli Interni.
Se il riferimento deve essere il "modello tedesco" più volte invocato per giustificare le misure restrittive, i ristori allora ad esso dovrebbero essere ispirati: indennizzo al 75% dei fatturati calcolato sui mesi di novembre e dicembre, riduzione dell'Iva al 5%, tutela degli sfratti, ad esempio.
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