bevande
18 Dicembre 2020
Per mascherare il suo fallimento nel contenimento del Covid-19, il governo ancora una volta decide di scaricare l’onere della riduzione del contagio sui pubblici esercizi, sottoposti da ottobre a uno stillicidio di provvedimenti. Che si tratti di zone rosse o arancioni per noi significa una cosa soltanto: bar e ristoranti resteranno chiusi dal 23 dicembre al 6 gennaio. Un periodo che da solo vale circa il 20% del fatturato di un intero anno.
In sostanza il governo, con questa decisione, se confermata, si assume la responsabilità di decretare la morte di un settore fondamentale per i valori economici e sociali che esprime. I pubblici esercizi non sono solo numeri; sono i volti e le mani dei gesti quotidiani, una componente simbolica e materiale della vita quotidiana degli italiani, dei loro ricordi e della via trascorsa insieme. E vorrebbero continuare a lavorare: lavorare non per mettere a rischio il Paese, ma per mettere in sicurezza un patrimonio imprenditoriale e sociale che contribuisce al futuro di tutti.
Se fossero confermate le notizie di ulteriori limitazioni sarebbe la “Cronaca di una morte annunciata” perché senza adeguati e immediati ristori per tante, troppe aziende del settore sarà impresa impossibile reggere ai nuovi ingenti danni che le limitazioni determineranno. Rimangono nondimeno due sensazioni poco gradevoli. La prima, più generale, è quella di un Paese stanco, stanco di reagire, persino di capire che – spossato da incertezze e instabilità - sta perdendo il senso e la rotta. La seconda, che riguarda i pubblici esercizi, che è la perdurante impressione di uno spiacevole pregiudizio che lo accompagna, con la fastidiosa distinzione tra attività economiche essenziali e non essenziali che finisce per oscurare la realtà.
Così Fipe-Confcommercio, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, in una nota.
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A cura di Rossella De Stefano
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