16 Febbraio 2020
Sul tavolo – e non solo in senso figurativo – c’è un cambiamento delle abitudini di consumo. Archiviati i tempi di austerity, la disponibilità di spesa degli italiani è tornata a crescere. E con essa si sono modificate anche le scelte adottate per il pranzo. «L’avventore – rileva Matteo Figura, responsabile Foodservice NPD in Italia – ricerca sempre nel fuori casa un’occasione ad alto tasso esperienziale. Non a caso questo criterio di selezione si è mantenuto stabile, anche nei periodi di più rigido francescanesimo. In buona sostanza, nella necessità di risparmiare, i clienti hanno generalmente preferito ridurre il numero di uscite, ma non il loro livello qualitativo». Ora però qualcosa sembra essere cambiato. «In questi ultimi mesi – osserva Figura – abbiamo rilevato che i consumatori non hanno tanto aumentato le uscite esperienziali, quanto aggiunto occasioni di carattere funzionale qui, complice la crisi, avevano rinunciato in passato. Mi spiego meglio, portando un esempio concreto: chi lavora evita più facilmente di portare con sé una pietanza preparata a casa, e per contro è più disponibile a consumare un pranzo veloce in un locale».
CHI SALE, CHI SCENDE
L’analisi delle visite legate al pranzo in funzione dell’età degli avventori, rilascia una fotografia in bianco e nero. Da un lato, soffrono i Millennials, ovvero i ragazzi tra i 18 e i 34 anni. Dall’altro, crescono le fasce ai due poli opposti della scala anagrafica: in aumento sono infatti i valori registrati dai più giovani e dal pubblico over 50.
CHIACCHIERE & VELOCITÀ
Con un’incidenza pari al 28,2%, la socializzazione è il primo driver nella scelta di consumare un pasto fuori casa. A seguire di un’incollatura, il fattore “comodità/tempo” (27,5%) e la spinta edonistica (26,5%). Più a distanza, le motivazioni legate al lavoro (19,8%). Residuali, infine, risultano le voci “Non ho potuto/voluto cucinare” (8,6%) e “soddisfare un impulso di fame” (8,2%).
LA PROVA DEI NUMERI
La conferma del fenomeno viene dai numeri fatti registrare nel periodo compreso tra luglio 2018 e giugno 2019. Le visite legate alla pausa di metà giornata, che valgono il 15% del totale della ristorazione commerciale, sono state protagoniste di una accelerazione del 3,5% rispetto all’omologo periodo precedente. La spesa invece, che vale il 28% del mercato, ha beneficiato di una spinta molto più contenuta, pari al +2%. Come dire, insomma, che è cresciuto di molto il numero delle consumazioni, ma non altrettanto il valore dello scontrino medio. Va quindi ipotizzato un incremento dei pranzi più veloci e meno legati a momenti di socialità e intrattenimento. «Si tratta di un indicatore molto positivo – spiega Figura – perché rappresenta la spia di una reale e strutturale ripresa del mercato. La crisi è stata tanto lunga da avere sedimentato nuove abitudini di consumo, improntate a una precisa attenzione all’aspetto economico. La scommessa per gli operatori era quindi quella di riportare i potenziali avventori a consumare fuori casa. E i dati ci dicono che la sfida potrebbe essere stata vinta».
CAMBIA IL PERCEPITO
Quello in atto è insomma un circolo virtuoso, che poggia su un diverso percepito del pranzo. «Gli anni passati, anche per ragioni di risparmio – afferma Figura – avevano registrato una netta riduzione del numero di portate richieste per il pasto, al punto che spesso pranzo e snack arrivavano ad essere percepiti come occasioni di consumo intercambiabili. Ora invece si è tornati ad arricchire il menu, aggiungendo alle comande piatti importanti e complementi di spessore come contorni e dessert». E anche in questo caso, la tendenza trova riscontro nei numeri. Tra i prodotti più richiesti durante il pasto, mostrano valori in crescita piatti strutturati come pasta e carne, mentre segnano il passo i panini farciti, che fanno registrare un andamento stabile. Una moda? Pare proprio di no. Salvo brusche inversioni di rotta a livello macroeconomico, il trend dovrebbe essere destinato a consolidarsi nei prossimi mesi.
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