pubblici esercizi
29 Novembre 2016
In questi anni la dimensione del lavoro accessorio è notevolmente cresciuta. Nel giro di sette anni, tra il 2008 ed il 2015, il numero dei voucher è passato da meno di mezzo milione a circa 88 milioni. Un balzo straordinario che alcuni interpretano come una spia della precarizzazione dei rapporti di lavoro ed altri come una risposta a quel bisogno di flessibilità che i sistemi produttivi attuali richiedono, in particolare in alcuni settori. I settori del turismo e del commercio hanno assorbito il 40% del totale dei voucher utilizzati nel 2015. Alberghi e pubblici esercizi da soli ne hanno utilizzati poco meno del 27% pari in valore assoluto ad oltre 23 milioni di voucher. Si tratta di uno strumento che serve a sostituire forme di lavoro più stabili? Un buon indizio che farebbe propendere per una risposta negativa a questa domanda possiamo rintracciarlo nella dinamica positiva dell’occupazione dipendente nelle imprese del turismo in un periodo peraltro non particolarmente brillante per le sorti della nostra
economia. Tra le imprese del turismo, i pubblici esercizi sono quelli che hanno maggiormente fatto ricorso ai voucher. Anche in questo caso il dato non deve sorprendere dal momento che l’82% di tutte le aziende del turismo sono pubblici esercizi con una quota di dipendenti pari al 73% del totale. A livello territoriale il dato di maggior interesse è rappresentato dal numero dei voucher per azienda. A fronte di una media che per il comparto dei pubblici esercizi è di 303 unità, in Lombardia si sale a 412 ed in Calabria si scende a 164. Nel Mezzogiorno sono i pubblici esercizi sardi a ricorrere maggiormente ai voucher. A livello di comparto spiccano bar e ristoranti ma anche in questo caso è la numerica delle imprese a fare la differenza. Dal punto di vista relativo vanno invece evidenziati i comparti delle mense e delle discoteche dove il numero dei voucher acquistati per azienda è superiore al doppio della media. Gli stabilimenti balneari, al contrario, non sembrano
particolarmente orientati all’uso dei voucher. Nel 2015 le aziende hanno acquistato in media 218 voucher pro-capite. Diciannove milioni di voucher corrispondono a diciannove milioni di ore di lavoro ossia più o meno all’attività di 11 mila lavoratori a tempo pieno. Se confrontiamo questo dato con i 703 mila lavoratori dipendenti dei pubblici esercizi risulta difficile sostenere che il lavoro accessorio abbia rappresentato l’alternativa ad altre forme di rapporto di lavoro. Più verosimilmente dobbiamo ritenere, pur senza escludere in modo aprioristico eccessi o abusi, che in alcuni settori il voucher è uno strumento che coniuga le esigenze di flessibilità delle imprese con quelle di contrasto al fenomeno del lavoro irregolare. A ciò si deve aggiungere che i percettori di voucher non sono in genere lavoratori esclusivi. Un’analisi effettuata dall’INPS su dati del 2014 ha evidenziato come su circa un milione di percettori, 400mila erano privi di altra posizione (categoria che include gli studenti), 281mila erano attivi anche come lavoratori dipendenti, 168mila erano percettori di indennità di disoccupazione o mobilità e 97mila risultavano pensionati.
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