10 Giugno 2014

Product placement, va di scena il prodotto

di Giuliano Pavone


Product placement, va di scena il prodotto

Chiunque vada al cinema o guardi la tv sa di cosa si tratta. E le discussioni sulla sua opportunità – in relazione agli effetti sui consumatori o sull’integrità delle opere creative – non sono mai mancate. Ma del product placement (cioè il posizionamento di marchi e prodotti all’interno di film e programmi tv) dal punto di vista della sua efficacia come strumento di marketing, si è sempre parlato abbastanza poco.

Eppure si tratta di una modalità di promozione originale che – pur non priva di rischi – mostra numeri crescenti e in molti casi si rivela economica rispetto ai risultati che può portare. A dieci anni dalla sua introduzione in Italia, abbiamo fatto il punto sul product placement, parlando con tre aziende food e beverage che vi hanno fatto ricorso.

Il brand entertainment

Fra i primi marchi a partire in modo sistematico col product placement cinematografico, il Pastificio Garofalo ha da qualche anno abbandonato questa modalità per dedicarsi a un’altro e più ambizioso tipo di presenza nel cinema: la produzione di cortometraggi d’autore.

«Già nel 2005, con la casa di produzione Cattleya programmammo non uno ma dieci film, in un progetto organico» - racconta Emidio Mansi, Responsabile Commerciale Italia di Garofalo. «Fino al 2007 eravamo dominanti. Uno degli ultimi film è stato ‘N. Io e Napoleone’, di Paolo Virzì, il primo placement in costume coerente da un punto di vista cronologico, visto che la storia della pasta Garofalo inizia alla fine del Settecento: Massimo Ceccherini dice a Elio Germano che in trattoria si possono mangiare maccheroni Garofalo con broccoli e salsiccia». Poi però le cose hanno iniziato a cambiare: «Sono entrati investitori molto più grandi di noi, che sovrastavano un po’ la nostra presenza. Inoltre, i prezzi si sono alzati e le case di produzione hanno iniziato a contattare le aziende a pioggia.

Noi volevamo apparire solo se il contesto era in linea con l’immagine specifica di Garofalo.

C’erano poi anche dei rischi nella ‘coesistenza’ con gli altri marchi: un placement poco ‘garbato’ all’interno dello stesso film si ripercuote negativamente anche sugli altri brand presenti nella pellicola».

Così nasce l’idea del “brand entertainment”, con “Garofalo firma il Cinema”, un progetto che vuole raccontare Napoli e il suo territorio attraverso dei cortometraggi girati da artisti che condividono con l’azienda la passione e la voglia di far emergere i lati più veri e meno stereotipati della Campania.

I cortometraggi vengono prima programmati in televisione (talvolta su La7, altre su Sky) e poi diffusi via web. Dal 2008 a oggi vengono girati sei cortometraggi, affidati alla regia di grandi artisti come Terry Gilliam ed Erri De Luca, fino all’ultimo “Caserta Palace Dream”, diretto da James Mc Teigue e con, fra gli altri, Richard Dreyfuss e Kasia Smutniak.

I cortometraggi vanno realizzati e poi promossi.

Entrambe le fasi sono molto costose, ma il modello è ugualmente sostenibile. Come mai? «Al contrario degli spazi pubblicitari che vanno acquistati, i cortometraggi si vendono» risponde Emidio Mansi. «In sostanza Garofalo propone ai canali televisivi un pacchetto in cui da una parte si vende un contenuto di qualità e dall’altra si comprano degli spazi pubblicitari a supporto dell’operazione.

Le due voci si compensano parzialmente, anche se in linea di massima Garofalo paga un po’ più di quello che riceve.

Ma le spese passano in secondo piano di fronte ai riscontri: fra trailer, passaggi del cortometraggio e contenuti speciali abbiamo un tempo di visibilità televisiva altrimenti impensabile, associato a un contenuto di qualità che ha un effetto molto positivo sulla gente».

Bellini Canella brinda in tv

Quanto alle produzioni televisive, un posto fra gli antesignani spetta a Canella, l’azienda vinicola veneta che produce fra l’altro il Bellini. La sua presenza nel piccolo schermo inizia sette-otto anni fa con le telepromozioni. Oggi tutto il budget pubblicitario di Canella viene utilizzato per il product placement televisivo.

product placement bellini una grande famiglia

«Nel 2010 la concessionaria di pubblicità della Rai ci ha proposto di passare al placement» ricorda Lorenzo Canella, amministratore delegato di Canella Spa. «Con lo stesso budget necessario per 6-7 telepromozioni l’anno, ci siamo garantiti degli inserimenti per lungo tempo in programmi di successo come ‘L’Eredità’, ‘Tale e quale show’, e in fiction come ‘Un matrimonio’ di Pupi Avati e ‘Una grande famiglia 2’. Il costo contatto è più basso e la vendibilità straordinariamente più alta. Con ‘L’Eredità’ è un po’ una scommessa: infatti paghiamo un forfeit mensile che ci dà diritto a un inserimento all’inizio della trasmissione, e a un brindisi finale, proprio nel picco di ascolto, nel caso che il concorrente vinca il famoso gioco della ghigliottina».

Quali sono, chiediamo, i vantaggi del product placement rispetto a una campagna pubblicitaria tradizionale? «Investire in spot ha costi decine di volte superiori, e poi credo che gli spot funzionino se si è in grado di programmarli a ritmo incessante. Al contrario, il product placement funziona perché viene inserito all’interno dello spettacolo, e viene percepito come ‘naturale’. Addirittura mi sono reso conto che molta gente crede che il Bellini in tv venga consumato per una scelta spontanea degli artisti!

La nostra esperienza di product placement televisivo si sta dimostrando molto soddisfacente, e mi stupisce che siano ancora poche le aziende che se ne servono. Va anche detto che il Bellini è un prodotto che si presta in modo particolare: il suo rosa buca lo schermo, distinguendosi da qualsiasi altra bottiglia. Inoltre si può inserire in modo naturale in tutte le situazioni festose».

Ma non esiste il rischio che un product placement troppo aggressivo sortisca un effetto negativo sul prodotto promosso? «Sì - risponde ancora Canella - e per questo bisogna cercare di non essere troppo invadenti, e magari non apparire per periodi troppo lunghi. Ma soprattutto è fondamentale che il prodotto sia coerente col contesto e col momento in cui viene mostrato. Non devono esserci forzature».

Ultimamente Canella si è cimentato anche col placement cinematografico, ma con meno soddisfazioni:

«Il product placement nel cinema costa molto di più in termini di costo contatto, anche se ci sono delle possibilità col tax credit, investendo anche nella produzione, di avere degli sgravi fiscali e di partecipare agli utili.

E poi è rischioso, perché il successo di un film non è facilmente preventivabile».

Una Molecola contro due multinazionali

Potrebbe essere il titolo di un film, ma è anche il modo di sintetizzare la sfida che la torinese Trinca Srl, ha lanciato a Coca e Pepsi con il marchio Molecola. La nuova cola è stata introdotta nel canale Horeca dal 2013 e da alcuni mesi è presente anche in Gdo (per ora presso Coop). Spiega Francesco Bianco, uno dei due titolari: «Il nostro brand punta sul territorio (il nome e il logo si rifanno alla Mole Antonelliana, simbolo di Torino, nda), sull’italianità, su un look particolare e sull’esserci uniti a un progetto dalla valenza sociale come SOS Villaggi dei Bambini».

product placement fuga di cervelli

L’esperienza col product placement si concretizza quasi per caso.

La partnership è con il film “Fuga di cervelli” di Paolo Ruffini, remake nostrano di una commedia spagnola di successo. «Il product placement è un’occasione che abbiamo deciso di cogliere anche se i tempi non erano del tutto maturi (all’uscita del film, la Molecola era appena sbarcata nell’Horeca). Abbiamo puntato su un film per giovani, perché pensiamo che i giovani cambino più facilmente abitudini. Investire su un film è come giocare alla roulette: i placement nei film ‘sicuri’ hanno costi proibitivi; noi abbiamo puntato su ‘Fuga di cervelli’ ed è stata una scelta giusta, perché ha avuto successo».Decisamente positivo il bilancio: «C’era una certa affinità fra il film e il brand. Nella pellicola la Molecola viene chiesta al barista, esposta sui tavolini, ma entra nella storia anche in modo più giocoso, come quando un attore indossa un cappello su cui sono poggiate due lattine collegate alla bocca da cannucce. Anche la produzione deve aver preso in simpatia il nostro marchio, tanto che alla fine la visibilità della Molecola è risultata maggiore di quanto previsto da contratto. È stata un’esperienza stimolante: abbiamo avuto la sensazione di partecipare a qualcosa di concreto, che alla fine senti un po’ tuo, cosa che non accade con altre forme di promozione. Credo che il product placement sia destinato a crescere ulteriormente, anche perché si è tutti un po’ stanchi di pubblicità tradizionale».

TAG: AZIENDE,TENDENZE,MARKETING

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