29 Luglio 2015
In Thailandia il caffè che va per la maggiore è l’ice coffee: 14 g di chicchi tostati scuri, non sempre della migliore qualità, uniti a vari tipi di latte, generosamente miscelati in ghiaccio. In Giappone la gente mentre va al lavoro continua a gradire le decine di possibili lattine di caffè caldo o freddo, con più o meno ingenti quantità di latte comodamente acquistabili dalle centinaia di migliaia di distributori automatici presenti nel paese. Sono solo due esempi ma significativi: un mercato ai primordi come quello thailandese da un lato e quello maturo del Giappone dall’altro. Due mercati in cui impiegati, operai, casalinghe e studenti continuano a bere senza fiatare caffè di dubbia qualità. Eppure la situazione non è poi così diversa neppure a casa nostra: quante sono le cattive marche di caffè che infestano il mercato ma che vengono trangugiate senza un battito di ciglia da milioni di italiani ogni santo giorno? è indubbio che un aumento della qualità media erogata ha senso soltanto se viene percepita. Questo aumento può significare molto per tanti e non solo per chi vende caffè (torrefattore e barista). Se portatrice di riconosciuta maggiore soddisfazione, una tazzina di buon espresso completa il quadro dei piaceri quotidiani: un beneficio indubbio per il cliente. Il punto è nel come interagire con quest’ultimo. Il problema è relazionale, semplicemente.
Ci sono essenzialmente una paio di possibili approcci.
Il primo modo di provare a convincere la signora Maria di Voghera (o la sua omologa Ayako di Tokyo o Nipapat di Bangkok) è la modalità del professore. Dall’alto di una cattedra (autoassegnatasi) si illustra alla sprovveduta signora tutta una serie di alternative al suo normale caffè. Normalmente l’ego di chi siede in cattedra risulta gratificato, mentre l’ascoltatrice cerca di orientarsi tra i termini dal sapore oscurantista del professore. Poiché questo genera una certa frustrazione, la modalità del professore normalmente non sortisce grandi effetti. Gli effetti diventano poi esileranti quando il professore fa il passo più lungo della gamba e inizia a parlare di temi tecnici che non padroneggia granché.
Seconda modalità: la modalità del compagno di banco. Mentre il professore dalla sua cattedra si agita cercando di scuotere la platea, talvolta sfociando in visioni messianiche di salvatore delle masse dal cattivo caffè, qualcun altro si siede vicino alla povera signora. Le chiede con garbo cosa beve di solito, cerca di capire le sue preferenze. Passa poi a fare assaggiare alla signora diversi caffè di qualità, ne valuta la reazione, risponde alle sue domande, le parla con linguaggio semplice rifuggendo da termini settari. è l’atteggiamento della moderna analisi sensoriale, quella vera, applicata alla divulgazione. C’è un problema in questo approccio sensoriale: è più difficile perché bisogna studiare e tanto. Inoltre non distribuisce titoli di coffee expert o super-taster. Però alla fine quella signora forse prenderà qualche tazzina di bassa qualità in meno e il suo acquisto consapevole darà una mano a quei torrefattori italiani, e ci sono, che lavorano ancora in qualità e lo fanno pure con convinzione.
Chi fosse interessato a contattare l’autore può farlo scrivendo a: carlo.odello@assaggiatori.com
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori www.assaggiatoricaffe.org
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A cura di Giulia Di Camillo
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