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11 Maggio 2021Le diatribe fra Italia ed Europa in materia di regole in ambito alimentare sono una tradizione di lunga data. A volte basate su principi del tutto legittimi, altre volte frutto di "si dice", di proposte estemporanee o di veri e propri fraintendimenti. E l'allarme lanciato da Coldiretti nelle scorse ore, relativo a una proposta di legge europea per "autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol con la possibilità di aggiungere acqua", appare tanto clamoroso da lasciare il dubbio che sia necessario approfondire la materia, prima di gridare allo scandalo.
Oggetto del contendere è la possibilità di aprire il mercato a una nuova categoria di prodotti: i vini senz'alcol e quelli "low alcol", caratterizzati cioè da una bassa gradazione alcolica. Un'idea che farà storcere il naso a enologi e appassionati della bevanda alcolica più consumata in Italia, ma che di per sé può avere un senso: da anni i prodotti "no alcol" e "low alcol" contribuiscono ad allargare la platea di consumatori in settori come quello della birra e, da qualche tempo a questa parte, anche dei distillati destinati alla miscelazione, contribuendo a diffondere la cultura dei cocktail anche fra quanti non vogliono o non possono bere superalcolici.
Così pochi giorni fa, al Comitato speciale agricoltura dell'Ue, che riunisce i ministeri degli Stati membri, è stato portato l’accordo raggiunto il 26 marzo scorso dal trilogo (Commissione, Parlamento e Consiglio europei) che prevede la possibilità di eliminare parzialmente o totalmente l’alcol nel vino da tavola (solo parzialmente nelle produzioni Dop e Igp). Di qui, la denuncia di Coldiretti che parla di autorizzazione da parte dell'Unione della possibilità di "annacquare" il vino. Pratica che, oggi come oggi, darebbe adito come minimo a una denuncia per adulterazione.
Una denuncia a cui Bruxelles ha prontamente risposto con una precisazione: "La proposta - ha specifiato la Commissione Ue - non contiene alcun riferimento all’aggiunta di acqua nel vino". Insomma, niente vini "allungati", nè tantomeno imposizioni di modifiche dei disciplinari che regolano la produzione degli attuali prodotti Dop e Igp, tra le eccellenze del made in Italy più apprezzate nel mondo. Solo una apertura alla possibilità di produrre e commercializzare anche vini con basso o nessun contenuto alcolico.
Una precisazione che non tranquillizza Coldiretti, che continua a parlare di "un grosso rischio e un precedente pericolosissimo e che metterebbe fortemente a rischio l’identità del vino italiano ed europeo". Più aperta alla novità appare invece l’Unione Italiana Vini, che rappresenta più di 150mila viticoltori e oltre il 50% del fatturato italiano del vino (e l'85% del fatturato export). Il segretario generale Paolo Castelletti ha anzi sottolineato: "è importante che queste nuove categorie rimangano all’interno della famiglia dei prodotti vitivinicoli, come tra l’altro riconosciuto dall’Organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv), per evitare che possano divenire business di altre industrie estranee al mondo vino e che dunque siano le imprese italiane a rispondere alle richieste di mercato (specialmente di alcuni Paesi asiatici)".
Insomma, sì al vino senza o con poco alcol, purché la regolamentazione lo collochi - come nel caso della birra - nell'ambito della produzione vitivinicola. Consentendo così ai produttori del settore di aprirsi a nuovi mercati dalle potenzialità tutte da esplorare, soprattutto in quelle aree - si pensi solo ai paesi arabi - poco avvezze al consumo di alcolici, ma allo stesso tempo attente a tutti i prodotti provenienti dall'Italia.
Dunque, è verosimile che la discussione, nei prossimi mesi, non si concentri tanto sull'opportunità di autorizzare tali produzioni, ma sulla regolamentazione dei metodi di produzione, armonizzandosi fra l'altro con le diverse normative nazionali in ambito enologico: Italia e Spagna, ad esempio, a differenza di altri paesi Ue non consentono di utilizzare zuccheri per aumentare la gradazione alcolica del vino. Il prossimo tavolo europeo per discutere della materia è in programma il 25 e 26 maggio. Ma l'impressione è che ne serviranno molti altri, prima di giungere a un accordo definitivo.
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