pubblici esercizi
19 Marzo 2021Il caso Billionaire la scorsa estate. In settembre lo stellato David Muñoz a Madrid chiude temporaneamente il suo DiverXo perché alcuni dipendenti sono risultati positivi. Questi sono solo nomi illustri, ma sono tanti i ristoranti e i locali che hanno scelto di chiudere (o in casi estremi sono stati costretti a farlo) per positività accertate all’interno dello staff o perché coinvolti in qualche focolaio. Come comportarsi in questi casi? Lo abbiamo chiesto a due professionisti che affrontano la questione da due punti di vista diversi: quello tecnico e quello della comunicazione. “Se si dovesse verificare un caso di positività accertato all’interno di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, che si tratti di un ristorante o di un bar con possibilità di servizio al tavolo – spiega Valerio Sarti, tecnologo alimentare e titolare di Viesse Consulting – la procedura da adottare è molto simile. Innanzitutto, tutte le attività di ristorazione, come previsto dalle Linee guida per la riapertura delle attività economiche, produttive e ricreative pubblicate l’11 giugno a seguito della Conferenza Stato-Regioni, devono essere munite di un protocollo specifico per la gestione e il contenimento di Covid-19 all’interno della propria attività”.
LA GESTIONE DEI SINTOMI
Il primo aspetto è quello della rilevazione della temperatura, che va fatta non solo per i clienti ma anche al personale, prima dell’accesso al luogo di lavoro. “Se la temperatura corporea dovesse risultare superiore a 37,5 °C – sottolinea Sarti – non deve essere consentito l’accesso o la permanenza nei luoghi di lavoro. Se un dipendente segnala un sintomo (durante la rilevazione della temperatura o in qualunque momento della giornata lavorativa) il titolare del locale deve comunicarlo tempestivamente al proprio Medico competente”. Nel caso in cui la positività del dipendente venga accertata, il protocollo redatto dal Sistema Nazionale Sanitario, prevede che una delle figure deputate alla salute negli ambienti di lavoro collabori con l’ATS di competenza per definire eventuali “contatti stretti” all’interno del luogo di lavoro avvenuti negli ultimi 14 giorni. “Sulla base delle circolari e ordinanze ministeriali – sottolinea Sarti – le Autorità sanitarie territorialmente competenti devono applicare ai contatti stretti di un caso probabile o confermato la misura della quarantena con sorveglianza attiva per quattordici giorni e il ristoratore deve quindi valutare caso per caso i contatti stretti all’interno del locale”. Per contatto stretto si intende, per esempio, una persona che vive nella stessa casa di un caso Covid-19, una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso Covid-19 (per esempio la stretta di mano), una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso Covid-19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati), una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso Covid-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti, una persona che si è trovata in un ambiente chiuso con un caso Covid-19 in assenza di dispositivi di protezione idonei. Tutte queste circostanze possono effettivamente verificarsi nel caso di un’attività di somministrazione. “Mentre sono in corso gli accertamenti da parte dell’Autorità sanitaria, il datore di lavoro può chiedere agli eventuali possibili contatti stretti di lasciare cautelativamente il locale. Esiste però un margine di discrezionalità: caso per caso, competono ai singoli Dipartimenti di Igiene e prevenzione sanitaria (Dips) delle differenti ATS/ASL le valutazioni per disporre o meno l’isolamento domiciliare fiduciario dei contatti stretti. In entrambi i casi, oltre alle normali attività di igienizzazione e sanificazione dei locali prevista dal protocollo aziendale, nel caso di presenza di un lavoratore positivo, deve essere prevista una sanificazione straordinaria delle aree del ristorante”.
SE IL CLIENTE È POSITIVO
Diverso il caso in cui la positività riguardi un cliente. “In questo caso – conclude Sarti – il ristoratore deve collaborare con i Dipartimenti di Igiene segnalando che questa persona si è recata nel locale, per definire la presunta catena di contagio. Inoltre, deve rendere disponibili le prove del rispetto delle misure preventive anticontagio previste dal protocollo Aziendale Covid-19. Mi preme sottolineare che la chiusura scatta solo a fronte di misure imposte da ATS, può però essere volontaria se, a causa della quarantena imposta ai colleghi della persona positiva, il ristorante si trova senza organico. Il problema è di business continuity”.
COMUNICARE BENE PER GESTIRE LA CRISI
Ma cosa succede se pur facendo bene il proprio lavoro di ristoratore e rispettando le norme il locale viene chiuso o deve rimanerlo perché i dipendenti non possono andare al lavoro? Questa situazione non deve trasformarsi in un’onta, ma bisogna prepararsi alla riapertura. Ci spiega come Alessandra Disnan, esperta di comunicazione in ambito food e titolare di Make it Food. “Partiamo dal presupposto che facciamo bene il nostro lavoro, le norme le conosciamo e, soprattutto, le facciamo rispettare. Capita (perché noi siamo stati attenti, vero?) che il locale venga chiuso per sospetto focolaio o a seguito di un controllo in pieno servizio, magari nel momento in cui la nostra mascherina era leggermente abbassata, per aiutare il signore di una certa età a comprendere meglio il menu. Arriva la multa per violazione delle norme anti-Covid, o un caso di positività tra i dipendenti e il nostro locale, malauguratamente, chiude per un determinato periodo. Cosa fare in questo caso? Come riuscire a togliersi di dosso questa “macchia” che inevitabilmente avrà ricadute economiche, d’immagine e reputazione? Prima cosa: comunicarlo! Non omettiamo il “danno”, non facciamo finta di nulla annunciando improvvisamente qualche giorno di ferie o simulando l’imminente sistemazione dell’impianto di riscaldamento. I social, i media, il semplice passaparola nel quartiere o in paese sono una potentissima cassa di risonanza. Affrontiamo la situazione a testa alta perché noi esercenti siamo dei professionisti e la violazione è stata causata semplicemente da una concatenazione sfortunata di eventi”.
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