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21 Maggio 2024È innegabile, il periodo del covid ha creato una divisione netta tra il prima e il dopo pandemia, e se per molti settori il futuro è stato maggiormente roseo, il comparto del bar è stato forse uno dei più penalizzati.
Lavoro nell’ambito alberghiero da ormai 42 anni e da 25 mi occupo di formare personale per il settore della ristorazione, ho un contatto quotidiano con una platea molto diversificata di attività, ma i comuni denominatori sono sempre i medesimi: manca personale e manca professionalità. Dal 2022 questo binomio è in crescente aumento, con il risultato che il prodotto servito invece di migliorare, peggiora.
A questo dobbiamo aggiungere che i costi della materia prima di qualità sono decisamente aumentati, spingendo molti baristi a optare per una scelta di prodotti di fascia inferiore per riuscire a far fronte alle possibilità economiche gestionali. Non è così che possiamo uscire.
OFFRIRE PROSPETTIVE POSITIVE AI GIOVANI
Andiamo per punti. Carenza di personale e grande turnover: oggi sempre meno giovani vogliono intraprendere il lavoro dei baristi: impegnativo, una media di dieci ore in piedi, sabato e domenica sovente lavorative, sempre a contatto con clienti esigenti e non sempre gentili, stipendio al minimo sindacale o con contratti part-time/a tempo determinato/di apprendistato (quando ovviamente non in nero), poche prospettive di futuro e nessuna formazione.
Questo è il primo tassello da sbloccare, sul quale è necessaria una forte azione del governo con una detassazione importante per consentire alle imprese di poter fare assunzioni a tempo indeterminato che infondano fiducia nei ragazzi che si avvicinano a questo mondo, permettendo loro di vedere un futuro, non solo lavorativo ma di vita. Un contratto che gli conceda l’accesso ai crediti bancari per l’acquisto di una macchina, una moto, una casa, dando quindi prospettive positive che si tradurrebbero in una presenza più costante nello stesso posto di lavoro a beneficio di tutti, datori di lavoro e clienti.
Contestualmente a questo, proprio perché il datore di lavoro è meno gravato dagli oneri fiscali, andrebbe imposto che la metà della detassazione venisse inserita in busta paga (anche questa con uno sgravio fiscale almeno per i primi cinque anni), suddividendo in questo modo i vantaggi equamente e aumenterebbe anche il salario minimo. Un incentivo importante che consentirebbe di rendere più appetibile un lavoro usurante quale quello nella ristorazione, offrendo una vittoria a ciascun soggetto, compreso lo stato, perché se è vero che avrebbero un entrata inferiore dalla detassazione, aumenterebbero i consumi, il PIL e l’introito dall’iva sugli acquisti.
LA FORMAZIONE
Negli ultimi due anni ho effettuato formazione 1465 persone, con un impegno medio di 7 ore di formazione teorico/pratica per ciascuno per un totale di 10255 ore, e la maggior parte di questi ragazzi e ragazze provenivano da altri settori; si erano ritrovati per caso o per esigenze economiche dietro al bancone di un bar e, fortunatamente, avevano scelto di impegnare almeno una loro giornata “libera” per imparare qualcosa sul caffè e su come preparare correttamente un espresso. Raramente sono i titolari delle attività a presenziare ai corsi, mentre sono proprio loro i primi che ne avrebbero bisogno. Infatti, è un classico, che al termine del corso i commenti degli allievi siano: - ma da noi tutto questo non si fa…. Il mio titolare mi dice di fare in maniera diversa perché se no si perde tempo… e così via.
È una regola di base della vendita: se vuoi vendere bene un prodotto, lo devi conoscere fino in fondo. Avete presente Mel Gibson nel film What Women Want? Se tutti i baristi avessero nozioni corrette di tostatura, botanica, tecniche di estrazione e un minimo di conoscenza delle attrezzature, la trasmissione di questa cultura al cliente sarebbe istintiva, e il risultato in tazza ottimale. Invece sono troppi quelli che sono convinti di saper fare i baristi perché è tanti anni che lo fanno e sono in grado di premere due tasti, ma nel momento in cui si presenta un minimo problema, devono chiamare “il tecnico o il rappresentante” per farselo risolvere.
LA PERCEZIONE DELLA QUALITA'
Ed eccoci giunti al terzo tassello, quello più difficile, per altro subordinato ai primi due, in quanto senza una vera qualità del prodotto e una preparazione professionale adeguata non avremo modo di far percepire al nostro cliente il vero cambiamento, che giustificherebbe anche l’aumento dello scontrino medio.
Lo so, sembrano cose banali, ma provate a farci caso… personale dotato di divise (pulite), locale in ordine e pulito, attrezzature pulite e ben curate, esposizione lineare dei prodotti, gentilezza e sorriso del personale, offerta variegata, chiarezza delle proposte commerciali… solo per citare le più basiche
Nell’80% dei locali che visito regolarmente per le mie statistiche, nessuna o soltanto una delle condizioni “normali” elencate sono presenti.
Si “riconosce” il personale che lavora nel locale giusto perché è posto dietro il bancone (ma potrebbe anche essere l’idraulico!), panini, croissant, torte e quant’altro sono mal disposte in vetrine disordinate e sovente sporche; quando ci sono i cartellini indicanti gli ingredienti (approssimativi) sono scritti solo a favore dei clienti, così che quando si chiede un prodotto vengano come minimo toccati tre o quattro altri alimenti prima che sia riconosciuto quello richiesto; bricchi del latte già scaldato, pronti ad essere riscaldati nuovamente, fanno bella mostra a lato delle macchine espresso (con beneplacito dell’haccp), lance a vapore incrostate, pulizia di doccette (il famoso “purge” o “flush”) non pervenuto e la pulizia dei filtri tra un caffè e l’altro inesistente, con risultato di caffè amarissimi e imbevibili e cappuccini al limite della prescrizione medica.
Per non parlare della mancanza del saluto o del sorriso, della scelta di prodotti alternativi (ci sono ancora locali con il cartello “novità: qui cappuccino alla soia” … sono vent'anni che esiste il cappuccino alla soia!) e della classica risposta alla cassa: mi spiace, il bancomat è fuori servizio e Satispay non so cosa sia… Con queste prerogative, non andremo mai da nessuna parte, l’espresso al bar si berrà sempre meno a favore dell’home consumption e rimarranno solo quel 20% di attività che riescono a fornire al cliente un’esperienza tale da giustificare la spesa e la voglia di sostenerla.
LE PROPOSTE
Oltre alle soluzioni fiscali da proporre al governo da parte dei sindacati di settore, serve un’attivazione importante da parte delle associazioni di categoria, dei torrefattori e di tutti i produttori di alimenti correlati ai prodotti di caffetteria affinché sia intensificata la proposta formativa gratuita per elevare il livello professionale.
Occorre la realizzazione di una campagna informativa di massa (tv, social media, radio, ecc.) supportata dai vari ministeri (cultura, turismo, agricoltura, del lavoro e delle politiche sociali) per portare un'informazione corretta e trasparente sulla qualità e sul valore dell’espresso e della professione del barista, al fine di rendere riconoscibile un vero professionista, un buon espresso e un corretto cappuccino a tutto il pubblico dei consumatori.
La correlazione tra qualità dell’offerta e differenziazione del prezzo di vendita verrà da sé, né più e né meno di quanto avvenuto a suo tempo nel settore dell’enologia. Un piccolo assaggio di tutto ciò sarà in onda a breve su Italia Uno nella edizione di Studio Aperto Mag di giugno, dove sarò protagonista di un’intervista a cura di Beppe Gandolfo sul caffè.
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