28 Aprile 2015

Si candida a fare da apripista a una serie di richieste simili avanzate da parte di migliaia di ristoratori. Stiamo parlano della sentenza emessa dal giudice della terza sezione civile del Tribunale di Venezia che ha accolto l’istanza presentata dal titolare del rinomato ristorante veneziano Do Forni ordinando a Tripadvisor la rimozione di una recensione ritenuta diffamatoria e offensiva
Questa la cronaca dell’accaduto: sul sito che recensisce hotel e pubblici esercizi di tutto il mondo ospitando i commenti degli utenti, un utente identificato da un nickname appoggiato al provider americano Hotmail pubblica un post dai toni denigratori riferito al locale veneziano: “Sporchi, cari e maleducati [...] solo se i camerieri vi conoscono e sanno che riceveranno una buona mancia allora eviteranno di lasciare i vostri piatti a freddarsi sulla mensola della cucina [...] Ho trovato persino uno scarafaggio nella pasta [...] è la faccia più brutta che Venezia possa offrire…”
Il ristorante decide quindi di affidarsi a due avvocati - Anna Paola Klinger e Marianna De Giudici - che, appurata l’impossibilità di identificare l’autore del messaggio (il procedimento richiederebbe una rogatoria internazionale), procedono ad inoltrare agli uffici americani di Tripadvisor (il website non ha sedi in Italia, ndr) la richiesta di rimozione del post. Quest’ultimo risulta infatti difforme rispetto allo stesso regolamento del sito, in base al quale le recensioni non possono travalicare i limiti dell’ingiuria. La richiesta viene accolta e il post eliminato.
Poche settimane dopo però un identico messaggio viene nuovamente pubblicato dallo stesso utente. Ma questa volta la recensione non viene rimossa. I legali di Do Forni si rivolgono pertanto al Tribunale di Venezia reputando che quest’ultimo sia competente ad agire anche nei confronti di una società straniera come Tripadvisor in quanto il danno di immagine subìto dal ristorante in relazione alla presunta diffamazione trova compimento in Italia e precisamente nella città veneta dove ha sede il locale.
Gli avvocati di Do Forni contestano dunque al sito non tanto il mancato controllo preventivo sulla pubblicazione - l’articolo 17 del decreto legislativo 70/2003 esonera di fatto il provider da questa responsabilità - quanto piuttosto il fatto di non aver proceduto alla rimozione della pubblicazione nel momento in cui questa è stata postata una seconda volta. E il Tribunale accoglie la domanda, ritenendo che il post esorbiti dal diritto di critica e che, in aggiunta, il suo contenuto non corrisponda a verità. Ovvero che non sia frutto di una reale esperienza da parte del recensore.
Incassata la vittoria di questo primo round, è ora probabile che il Do Forni quantifichi una congrua richiesta di risarcimento per i danni di immagine subìti dal ristorante nel corso dei mesi in cui la recensione è rimasta pubblicata sul sito.
Il caso mette in risalto le difficoltà non di rado incontrate dai ristoratori nell’approcciare il mondo digitale. Un mondo divenuto spesso decisivo per il business del canale horeca, che nasconde però anche lati insidiosi. «Molti nostri associati sono digiuni in fatto di tecnologia - conferma Chiara Mojana a nome della Federazione italiana cuochi, cui aderiscono 20.000 professionisti -. E molti subiscono la situazione. Abbiamo così chiesto loro di raccontarci esperienze e problemi sulla nostra pagina Facebook. E abbiamo scoperto come non siano infrequenti le situazioni che travalicano il limite della legalità. Per esempio, ci è stato segnalato il caso di web agency che propongono “pacchetti” di recensioni positive o negative a seconda delle richieste, capaci di sfuggire all’algoritmo di controllo sulla veridicità dei post, che piattaforme come Tripadvisor già utilizzano. Va detto, naturalmente, che nessuno vuole impedire il diritto di critica, ma occorre consentire ai ristoratori di replicare e di difendersi nelle sedi opportune. E da qui l’appello congiunto di Fic e Fipe a Tripadvisor perché si superi il nodo critico dell’anonimato degli autori delle recensioni rendendo possibile ricollegare questi ultimi alla loro presenza nei locali, magari anche grazie all’esibizione dello scontrino fiscale».
Quello del Tribunale di Venezia insomma sembra essere solo il primo passo di un lungo percorso.
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