25 Febbraio 2014

Viaggio nel mondo dei cocktail e della mixology internazionale a caccia di tendenze da importare e rivisitare
Le nuove tendenze arrivano soprattutto da New York, Singapore, Tokyo e Londra. È lì che operano i migliori bartender del mondo ed è lì che occorre guardare per importare qualche idea nuova. Per poi rivisitarla in chiave made in Italy.
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Simone Caporale[/caption]
In bottiglia, alla spina, nella pelle
Naren Young, padrone di casa al Saxon + Parole di New York è portavoce di alcune tendenze molto in voga nei bar. Come ad esempio i cocktail imbottigliati, che prendono ispirazione dal Periodo Proibizionista: si servono in piccole bottiglie personalizzate con l’etichetta del locale e la ricetta. In alcuni casi, dipende dagli spirits, i cocktail possono essere anche invecchiati di alcuni mesi.
Ci sono poi Draft Cocktails, ovvero drink che si spillano al bancone. A New York a quanto pare non è raro ordinare un Manhattan o un Negroni alla spina. Questo sistema agevola il barman per standardizzazione del prodotto e velocità di servizio ed è adatto a chi ha alti volumi di vendita o nei catering.
C’è chi si spinge anche oltre come Simone Caporale, barman dell’Artesian Bar del Langham Hotel di Londra che conserva alcuni cocktail nelle pelli di animale. È senza dubbio un’idea adatta ad alcuni tipi di spirits che si prestano ad essere invecchiati e che acquistano l’aroma del cuoio. È inoltre una strategia di servizio che mira a stupire il cliente e far parlare del locale.
Barman, quasi chef
La ricerca che compiono i baristi per le preparazioni sconfina sempre più nel mondo della cucina. A partire dal reperimento degli ingredienti freschi e di stagione, fino alle tecniche di miscelazione e trasformazione delle materie prime, per poi arrivare spesso a vere e proprie collaborazioni con i cuochi. Bancone e cucina allargano i confini e lavorano insieme per creare esperienze a tutto tondo. Nascono così cocktail “mangia e bevi” o food-pairing (abbinamenti) studiati per soddisfare i palati più esigenti.
Così come accade per il vino quindi, il cocktail copre più momenti di consumo, spaziando dall’aperitivo, alla cena, al dopocena. Non solo: essendo il cocktail un mix di ingredienti rappresenta una materia poliedrica e con tanti possibili abbinamenti, come o forse più del vino. Il barman quindi ha un ruolo importante, come quello del sommelier, per accompagnare il cliente in un percorso di gusto fatto di contrasti, armonie e ricerca.
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Naren Young[/caption]
Quanto alle tecniche di trasformazione e di preparazione i migliori bartender si fanno notare per preparazioni davvero all’altezza dei colleghi chef.
Naren Young si dedica alla Cucina Liquida in particolare alle tecniche gastronomiche, come quella di affumicatura applicabile a qualsiasi ingrediente (ciliegie, acqua, succhi di frutta, mezcal, cristalleria…) per aggiungere aroma ad alcune creazioni, soprattutto autunnali e invernali, che ne guadagnano così in “calore”. Originale ma forse un po’ lontana dalla nostra cultura la tecnica del fat washing, un processo che prevede un lavaggio nel grasso degli spirits, che una volta mescolati e raffreddati, vengano filtrati, conservando però un sapore “burroso”.
Non è da meno Simone Caporale che per stupire gioca con essenze profumate inebriando gli ospiti e i loro vicini! Come “sottobicchieri” usa cuscini vaporizzati con oli essenziali o con fumi profumati. La sua tecnica è giocosa e punta su dettagli che stupiscono e fanno giocare il cliente. Caporale però non dimentica che tutto ha un costo e quindi cerca dove possibile di risparmiare. Per esempio usando, come guarnizioni dei cocktail, frutta disidrata e zuccherata (per evitare l’ossidazione) anziché quella fresca che, una volta tagliata, ha una durata chiaramente inferiore. Un piccolo accorgimento, molto originale e facile da imitare.
Dall’Oriente, il gusto del dettaglio
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Shingo Gokan[/caption]
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Hidetsugu Ueno[/caption]
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Zdenek Kastanek[/caption]
La cura del particolare e del servizio è un valore su cui si concentrano anche due barman giapponesi: Shingo Gokan director all’Angel’s Share di New York e Hidetsugu Ueno del Bar High Five di Tokyo. L’attenzione verte anche sul ghiaccio. Deve essere puro, non a cubetti. Il blocco di ghiaccio puro va “scolpito” al momento della preparazione, e poi posizionato nel modo corretto all’interno del bicchiere per permettere al liquido di mescolarsi perfettamente e servito ad una temperatura fra i -5 e -20 gradi (a seconda dell’aroma che si intende sprigionare).
Zdenek Kastanek lavora a Singapore al Bar 28, dove pratica la sua filosofia hospitality in details, ovvero l’arte di accontentare l’ospite prima che sia lui a chiederlo. Tempo massimo di attesa per un cocktail: 10 minuti. E pochi gesti per accontentare gli ospiti (vendere una bottiglia al prezzo di costo, regalare la ricetta di un cocktail, personalizzare i menu…) e lasciare un buon ricordo. Il segreto è non pensare al rendiconto economico, ma agire come se il cliente fossimo noi.
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