bevande
10 Settembre 2019
"Quella del vino è una categoria importante per i grossisti”. Sul tema Mario Carbone Business Development Manager IRI, va dritto al punto, delineando con pochi tratti l’identikit dl comparto. “Ce lo dicono chiaramente – continua – le quote di mercato che vedono in testa la birra al 39% seguita da bibite e acqua (rispettivamente al 19% e al 16%) e poi dal vino con un più che soddisfacente 14%”. Escludendo dal nostro esame le bollicine, su cui negli ultimi anni i distributori hanno concentrato la propria attenzione tanto che oggi pesano più del 17% a valore e costituiscono – da sole – oltre 1/4 dell’assortimento di bevande in deposito, vediamo cosa sta accadendo nel mondo dei fermi. “Nel 2018 – riprende Carbone – la situazione climatica ha influito sul comparto, causando un rialzo dei costi della materia prima pari al 25%. Di fatto, tale aumento è stato in parte assorbito dall’industria e dai grossisti, con il risultato che sul punto di consumo si è attestato all’ 11,1%. La conseguenza, inevitabile, è stata un’erosione dei margini. Per il 2019, al contrario, a causa di una situazione più positiva, si prevede invece un recupero di marginalità.
Cosa è derivato da tale aumento dei prezzi?
A livello complessivo, possiamo dire che ha limitato i volumi, praticamente fermi allo 0,8%, ma ha determinato una crescita a valore del 12%.
E scendendo nel dettaglio delle performance dei vari formati?
Focalizziamoci sui due principali: il vetro da 75 cl e il fusto. Per il primo la quota a valore delle vendite è pari al 61,9%, mentre per il fusto si ferma al 30,3%. A volume, la situazione è pressoché ribaltata: 37,8% uno, 52,7% gli altri. Questo accade perché storicamente i grossisti hanno puntato essenzialmente sul fusto, specialmente nei locali non stellati. Tuttavia il recente aumento dei prezzi, imputabile al costo della materia prima, si è riversato anche sui fusti senza che il grossista riuscisse ad ammortizzarlo. La conseguenza è stata un aumento del prezzo sui punti di consumo. Che ha innescato, a sua volta, un significativo calo dei volumi: -3,2%.
Stessa dinamica anche sul vetro da 75 cl?
Assolutamente no. Anzi. In questo caso registriamo infatti un aumento dell’8,8% a volume, segno inequivocabile non solo del fatto che i grossisti puntano oggi a qualificare l’offerta, rivolgendosi con vini “più alti” a una ristorazione più evoluta, ma anche del fatto che sempre più locali, dal canto loro, ricercano referenze di qualità. Di fatto la ricerca di qualità è un trend comune a tutto il comparto delle bevande: il grossista - con l’obiettivo di fare più margini – punta maggiormente sugli spirit, sulla birra, e – appunto – sul vino, riducendo acqua e bibite.
Parlando di vino, che differenza c’è tra bar diurno e ristorante?
In termini di prezzo le distanze sono minime: 6,1 euro nel bar diurno, 6,3 nel ristorante. La vera differenza consiste invece nel trend a volume che per i ristoranti sale al 17,4% e al 20,3% a valore, chiaro segno – come ho già sottolineato – di come qui si stia qualificando l’offerta con l’introduzione di vitigni di qualità e di costo superiore.
La rete distributiva ieri e oggi: quali differenze?
Un tempo era molto diffusa la diretta, oggi, per ottimizzare i costi logistici, invece, i produttori si rivolgono sempre più spesso ai grossisti. E riconosciute le potenzialità del vino di qualità, è sempre più frequente che per il vino ci siano professionisti dedicati, con un ricco bagaglio di conoscenze enoiche e quindi in grado di proporre il prodotto ai clienti.

Parliamo di vitigni: qual è il trend?
La quota di mercato maggiore, nonostante i dati non proprio positivi degli ultimi mesi, attribuibili al forte aumento dei prezzi, continua ad essere appannaggio del prosecco. In linea generale si constata che i bianchi performano meglio al bar (complice la mixability), mentre i rossi trovano ancora nel ristorante il loro luogo di elezione. È comunque d’obbligo prendere in considerazione anche le variabili regionali che rendono più dinamico questo quadro.
Vino in horeca: potenzialità e limiti
Un plus, come dicevo all’inizio, è l’importanza crescente del comparto, oggi al 14% di quota. Il limite principale è invece l’estrema polverizzazione del mercato, dove non esiste un brand leader come accade, invece, in altri settori. Ne discende che i grossisti puntano sul vino, ma senza un’offerta di marca forte. In Gdo, dove la situazione non è di base molto diversa (visto che la frammentarietà è una criticità endemica del vino italiano) si cerca di ovviare con progetti di category; nel mondo dei grossisti non vi si riesce, ci si limita piuttosto a lavorare a livello locale. Ne consegue che le aziende produttive, anche quelle con massa critica significativa, continuano ancora oggi ad avere scarsa penetrazione nazionale sull’ingrosso. Eppure sono fiducioso: le prospettive ci sono, specialmente al Sud, dove il crescente interesse dei consumatori può essere un volano importante.
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