bevande
23 Gennaio 2019Ne hanno fatte di tutti i colori. Parlo di bolle. Non quelle del vino, ma quelle delle bibite. Un mondo – qui è veramente il caso di dirlo – davvero effervescente, nato sul finire dell’800 in un primo tempo con finalità medicamentose, o presunte tali, ma che solo in un secondo momento sarà considerato come passatempo rinfrescante. Il fenomeno nacque in particolar modo negli Stati Uniti, dove presero vita marchi come: Dr. Pepper, Coca Cola, Pepsi Cola e tanti altri. Gli aneddoti sui soft drink prodotti in questa come in epoche successive sono vari e, in molti casi, addirittura fantasiosi. Dalla ricetta della Coca Cola al nome della Pepsi Cola, forse derivante dal fatto di contenere pepsina, per non parlare della 7 Up, sorta di gassosa a stelle e strisce in voga negli anni ’80 e ‘90, che ricavava il proprio nome o dal numero di ingredienti che costituivano la formula o dalla presenza di litio (elemento oggi non più utilizzabile nei soft drink) nella ricetta, la cui massa atomica è – appunto – vicina a sette. La sete del mercato rispetto a questi drink è stata in parte soddisfatta anche da marchi e prodotti nostrani. A dire il vero, parafrasando Madonna: gli italiani lo hanno fatto meglio. Parlo del modo di realizzare le bibite. In generale potremmo dire che già dagli esordi, a cavallo tra le due guerre mondiali, il filone italiano ha sempre selezionato in maniera più coerente le materie prime. L’aranciata San Pellegrino, ad esempio, nacque quando il proprietario del marchio, per sottolineare la bontà e la versatilità della sua acqua, la abbinò per la prima volta al succo di arance, rigorosamente italiane. Anche il modo di chiamare le bibite, da noi per anni si è utilizzato il termine spuma, ha decretato uno stile italiano, creando un suono quasi onomatopeico, che riuscisse a definire la morbidezza soffice della schiuma che si formava appena il liquido toccava il fondo del bicchiere. Gli esempi di questo modo tutto italiano di spumeggiare? Numerosi e per altro spalmati su diversi marchi, antichi o nuovi che siano, come: Lurisia, Paoletti, Cortese, Tassoni, Neri, Galvanina e sicuramente dimentico qualcuno. Ad esempio il marchio riminese Galvanina ha deciso di svolgere, era il 2010, un lavoro di recupero delle ricette di bibite italianissime, cedro e gassosa solo per citarne alcune, dandogli soltanto un tocco di attualità. La partenza per le bibite di Galvanina è l’acqua di fonte che sgorga dagli Appennini, pura, intatta (aspetto in questo caso anche riferibile al mantenimento di quel patrimonio di oligoelementi, ricco di quel carbonato di calcio che risulta essere tra i responsabili di una buona digestione). A questo Galvanina ha aggiunto, cosa non comune, anidride carbonica ricavata naturalmente dal sottosuolo, e aromi. Naturali certo, ma soprattutto italiani. Ecco allora che la gassosa deriva il proprio gusto dolce-acido dalla succosità mai aspra dei limoni di Sicilia. Una bibita che riporta a gusti antichi ma sempre vivi, sia bevuta da sola sia in una sorta di cocktail ante litteram: ‘la bicicletta’, drink a base di birra e gassosa. L’elenco delle bibite di Galvanina è lungo come del resto il loro gusto, per altro mai basato esclusivamente sulla dolcezza. La contemporaneità del marchio romagnolo infine non viene meno anche nella completezza della gamma, in cui sono presenti tante bibite dai sapori nostrani (arancia rossa e mandarino e fico d’India), affiancati da accostamenti più innovativi. Tra tanti penso a quello che dà vita alla bibita arancia rossa, carota nera e mirtillo, un soft drink che guarda, con gusto, all’attualità dei frutti rossi e neri e ad alcuni dei loro aspetti benefici. Non dimentichiamo infine la tavola. Un’offerta così ampia, parlo di quella di Galvanina, ma il discorso potrebbe estendersi anche ad altri marchi, trova sempre più impiego sia in assolo sia nella realizzazione di cocktail da abbinare ai piatti. Le bibite perciò si accomodano accanto a tapas all’italiana, ampliando e amplificando il numero di sensazioni in bocca, finendo davvero per combinarne – con gusto – di tutti i colori.
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo.
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A cura di Giovanni Angelucci
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