pubblici esercizi
14 Novembre 2016
Sono a Seoul alla finale coreana di Espresso Italiano Champion. La gara è ospitata da un istituto di formazione post-secondaria da cui sono usciti alcuni tra i migliori professionisti dell’HoReCa della Corea. Due degli allievi della scuola sono riusciti ad accedere a questa finale e si battono con convinzione contro professionisti più affermati con l’obiettivo di fare i migliori espressi e cappuccini della giornata. Mentre i due giovani studenti sono in pedana mi cade l’occhio sulla vice-preside dell’istituto presente tra il pubblico: una donna minuta, garbatissima e solitamente molto misurata nelle emozioni. Ma non in questa occasione: guardo il suo volto che si contrae in smorfie di gioia o di disappunto a seconda di come i suoi studenti riescono a gestire la gara. Al suo fianco, sempre in prima fila, altri due professori della scuola, anche loro visibilmente emozionati. Dopo qualche anno che frequento la Corea mi è ben chiaro che il coinvolgimento emotivo della vice-preside e dei suoi docenti va al di là della norma: sono gesti ed espressioni del volto che denotano una vicinanza enorme ai propri allievi. E nel contempo esprimono la voglia di vedere premiata l’intera attività di una scuola che punta chiaramente e dichiaratamente a fornire professionisti di rango all’industria dell’ospitalità coreana. Da una rapida occhiata intorno a me, non mi sfugge il fatto che per raggiungere questo obiettivo l’istituto dispone di mezzi rilevanti: la struttura è impressionante, le aule attrezzate di tutto punto, c’è persino una tostatrice di piccolo taglio a disposizione dei corsi di caffetteria. Al contrario da noi molte scuole alberghiere versano in condizioni disarmanti e non si possono permettere l’acquisto di attrezzatura adeguata per la didattica e le esercitazioni. Lo sforzo di alcuni validi e volenterosi professori viene continuamente frustrato dalla mancanza di risorse economiche. Mi pare però altrettanto evidente che in Italia i budget da destinare alla formazione dei futuri professionisti dell’HoReCa non ci siano perché manca la volontà politica di crearli. È proprio un cane che si morde la coda: a sua volta questa volontà non c’è perché si è persa in Italia in generale l’idea che la formazione è energia per il futuro del paese. Anzi, si è affermata la convinzione che formarsi non sia un investimento utile, meglio improvvisarsi cercando guadagni facili e interessanti già nel breve periodo. Così, mentre uno dei giovani concorrenti sta montando il latte sotto gli occhi vivaci e pieni di orgoglio della sua vice-preside, mi balena in testa la mia terzina preferita di Dante, una pietra miliare del canto XXVI:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Quando il seguire virtù e conoscenza torneranno a essere una priorità del nostro paese? Il tempo corre e c’è il forte rischio di ammazzare nella culla la prossima generazione di
professionisti dell’HoReCa italiano.
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori.
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