06 Aprile 2016

Ammette di essere in causa per un plagio di Zucchero (“Quale Senso Abbiamo Noi” e le assonanze con la sua “Take Me To The Sunshine” per AlbertOne), Cristian Piccinelli (nella foto con la cantante Ingrid Alberini e il cantautore Sagi Rei). In generale oltre all’appiattimento sonoro di cui si parla spesso, Piccinelli dice di non sentire in circolazione “grandi liriche”. Versatile produttore, arrangiatore e autore dalle poliedriche capacità, inizia la sua carriera in adolescenza, Piccinelli si racconta.
“La stesura cantata si è accorciata e spesso è solo un riempitivo per un brano strumentale. Poi arrivano i vari David Guetta e Calvin Harris e fanno quello che noi facevamo negli anni '90, scrivono belle melodie e riff vincenti. Ovviamente all’ascoltatore medio arrivano queste due cose. Cosa vuoi che gliene freghi a un ascoltatore che tipo di cassa hai usato o quale riverbero o se ha un RMS che spacca. Già tra gli addetti ai lavori a volte mi capita che non distinguano un suono di piano da una chitarra”.
Sono tutte pippe dei nuovi produttori?
“Certo. Scrivete belle melodie e non perdete tempo a pensare al mastering e a tecnicismi. La gente si ricorderà di un successo cantando o fischiando una melodia e non si ricorderà di certo il suo loudness”.
Collabori da anni con il dj produttore Paolo Aliberti?
“Che essendo anche un bravo programmatore spesso si deve smazzare tutti i miei arrangiamenti. Non amo perdere tempo nelle automazioni, piuttosto suono variando la dinamica in esecuzione, e lui è un mago in questo. Per le produzioni di Fargetta spesso collaboro anche con il suo musicista, Lenny Mendy, altro produttore bravo nelle programmazioni. Con Mauro Picotto spesso mi interfaccio con il suo collaboratore storico, Riccardo Ferri. Last but not least c'è il mio fido Roberto Giribardi per le chitarre e il basso”.
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Se sei tutto il giorno in studio, come fai a farti rappresentare a livello di management?
“Mi manca una figura simile, sfrutto i miei contatti e approfondisco con questi ogni legame professionale. Mi dà una mano anche il collega e amico Paolo Aliberti”.
Hai preferenze sui produttori dance?
“No, ma sui brani che questi producono sì. Difficilmente riesco ad affezionarmi a più produzioni dello stesso producer o artista. Mi piacciono molte produzioni di EDX, Kaskade, David Guetta, Calvin Harris, Zedd, Avicii, Schulz e tanti altri. In realtà mi colpiscono le melodie, le soluzioni armoniche e le sonorità. Non ho pregiudizi all’ascolto. Un brano deve però affascinarmi nei primi 30 secondi”.
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Cristian Piccinelli con Mario Fargetta[/caption]
È stato inventato e immesso sul mercato troppo software negli ultimi anni?
“Negli anni '90 con strumenti (campionatori ed expander) limitati nelle memorie, e HD che costavano un occhio della testa e per pochi mega, riuscivamo a ottenere suoni editando e sperimentando varie combinazioni, personalizzando casse, bassi, lead, pad e groove. Ora ci sono giga e giga di librerie e loop precotti di ogni tipo, genere e bpm: si passa più tempo a cercare tra le proprie cartelle piuttosto che creare da zero. Col timestretch facevamo miracoli”.
Nuove generazioni vogliono un pezzo “alla...”, che sia quasi un clone di una traccia esistenze. Perché? Dove andremo di questo passo?
“Io cerco di farli desistere”.
Il tuo studio è strettamente è personale?
“È destinato esclusivamente alle mie produzioni o comunque a lavori commissionati (mercato discografico o tivù). Raramente capita che qualche amico cantante di cui non curo la produzione artistica abbia bisogno che io segua in maniera accurata qualche take, quindi viene a registrare la voce da me”.
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