caffè
03 Marzo 2015[caption id="" align="alignnone" width="144"] Carlo Odello[/caption]
Perché all’estero si ostinano a studiare l’espresso italiano? Qualcuno si sta facendo questa domanda in modo insistente. E ogni tanto riversa sui social la sua preoccupazione, la condivide, cerca di lenire il dolore che gli causa vedere che, no, l’espresso italiano non è morto.
L’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè è operativo a livello quasi globale nella formazione dedicata all’analisi sensoriale dell’espresso italiano. Solo nell’ultimo scorcio di questo 2014 una ventina i corsi tra Giappone, Corea, Cina, Taiwan, Australia e Nuova Zelanda. A conferma di un trend positivo per il nostro caffè, molti export manager raccontano che le vendite all’estero stanno andando bene (ben inteso che qualche torrefattore si sta purtroppo approfittando di questa vitalità: che dolore al cuore vedere all’estero certi orribili chicchi in confezioni che recitano “made in Italy”).
Insomma là fuori gli operatori studiano, studiano e studiano il nostro caffè. E vogliono entrare nelle pieghe delle miscele, carpirne l’anima, investigarle a fondo. Per farlo una sola via: la formazione, strumento talvolta misterioso in Italia, ma di utilizzo comune all’estero. E allora, tornando alla domanda iniziale, quella che tormenta alcuni personaggi del coffee business italiano: perché l’espresso italiano è oggetto di studio, non era già morto?
Una prima ragione deriva dall’autostima dei professionisti stranieri. Molti baristi, importatori e distributori semplicemente ritengono inammissibile che il loro ruolo possa essere offuscato da una patina più o meno spessa di ignoranza sul prodotto. E poi sanno che la conoscenza è spendibile nella loro attività quotidiana e li qualifica come esperti agli occhi dei loro interlocutori, agevolandogli quindi il compito.
C’è anche molta fascinazione per la miscela, idea che nasce in Italia. C’è da parte del professionista all’estero interesse a capire come si possa avere complessità ed equilibrio (perché la prima senza la seconda è solo caos sensoriale). Eccoli quindi andare alla fonte per vedere come noi italiani abbiamo risposto a questa domanda. E si stia attenti: non è più un copiare, ma comprendere un modello e verificarlo rispetto al proprio mercato.
È Giotto che guarda Cimabue e talvolta l’allievo supera il maestro.
Da ultimo c’è alla base dello studio dell’espresso italiano la voglia di entrare nella nostra cultura.
Il caffè come chiave che apre le porte di un mondo diverso, fatto di città antiche e di culture gastronomiche e non solo che si differenziano nell’arco di pochi chilometri.
È la bellezza di studiare soprattutto per gli asiatici una cultura esotica ed evoluta (fascinazione che subiamo anche noi all’inverso naturalmente). È la voglia di vedere la vita in modo diverso, di allargare l’orizzonte: per molti stranieri è una ricerca sensoriale semplicemente affascinante.
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro
Studi Assaggiatori
www.assaggiatoricaffe.org
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