bevande
09 Giugno 2015[caption id="attachment_77870" align="alignleft" width="300"] Chiaretto del Garda[/caption]
Con giugno torna il tempo dei rosati. Un vino, il rosato, che nell’immaginario del consumatore non è ancora ben conosciuto, ma che piace molto alle nuove generazioni, grazie anche agli sforzi intrapresi da alcuni consorzi di tutela quali quello del Valtenesi e del Bardolino, per destagionalizzarne il consumo creando la filosofia “drink the pink”.
Sono numerosi gli eventi dove si possono conoscere i vini rosati. “Italia in Rosa”, manifestazione storica legata al Trofeo Pompeo Molmenti, inventore del Chiaretto del Garda, giunta all’ VIII ed., contemporaneamente si svolge a Lecce la II ed. di Roséxpo, organizzata da deGusto Salento, che riunisce i migliori produttori salentini di Negroamaro e ancora in Puglia la IV ed. del Concorso Enologico Naz. dei Vini Rosati d’Italia, istituito dalla Regione Puglia con il Ministero delle Politiche Agr. Alim. e Fores.
Ma perché questa crescente comunicazione, per un vino di cui il consumatore tradizionale non ha capito come si produce e la ristorazione stenta a lanciarlo perché poco richiesto?
[caption id="attachment_77875" align="alignright" width="300"] Bardolino chiaretto[/caption]
I dati parlano chiaro: secondo il Consiglio interprofessionale dei vini di Provenza (Civp) dal ‘90 a oggi, in Francia, il consumo di vini rosati si è triplicato fino e raggiunge il 30% dei consumi totali a livello nazionale e il 34% di quelli mondiali. Anche in Italia cresce superiore al 13%. Il report francese sottolinea che oltre il 9% del vino consumato al mondo è rosato e che l’Italia, con il 6% del consumo mondiale, è al quarto posto, dopo Francia,Usa e Germania. Resta incontrastata la leadership dell’Italia nell’export, con il 43% del totale mondiale.
Le ragioni commerciali quindi sono favorevoli alla produzione ed esportazione di vini rosati, il “rosa” piace, tanto che influenza i colori di altre bevande: in Francia si producono comunemente birre, pastis, B.A.B.V. (bevanda ottenuta da vino nuovo ancora in fermentazione) e sidro declinati nel colore rosato.
“C’è rosato e rosato però – spiega Leonardo Valenti, enologo e docente all’UNIMI di Milano – tutto si può “rosatizzare”, ma non è ne immediato né facile, quindi la tendenza ad inserire nel portafoglio di un azienda anche un rosato deve essere frutto di un progetto. Terrirori, clima, vitigni e sapere umano, fanno parte di quel concetto: terroir, indispensabile sopr. Per l’elaborazione di un rosato. Il rosato è il classico vino “yng e yang”, possiede cioè caratterisitiche femminili e maschili, che vanno estratte al momento giusto: nuance visive, profumi, struttura e sapidità, per esaltare la sua bevibilità”.
Guido Montaldo. Giornalista, storico, esperto in comunicazione del vino. redazione@ilbuonodellavita.com
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A cura di Maurizio Maestrelli
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