bevande
08 Gennaio 2013
I nottambuli hanno pane (e non solo) per i loro denti. Le rivendite di street food spesso e volentieri sono posizionate vicino alle discoteche.
Lo smercio inizia quando la serata ormai sta per finire. La gente della notte, ma a volte anche quella della sera inoltrata, spreca energie e per colmare lacune relative alla mancata ristorazione all’interno di alcuni club, ecco spuntare qua e là come funghi dei baracchini e dei negozi davvero di dimensioni ridotte che diventano una tappa fondamentale per chi gironzola da club in club nell’orario in cui ristoranti, bar e pizzerie sono chiusi.
Va bene, restano i kebab, in Italia e spesso nel resto del mondo, a dettare regola. Ma si può anche andare oltre un panino di carne halal.
Punto fermo, anzi cardine: lo street food non è un fast food, non è per forza finger food e non è da confondere con la moda di fare colazione in tarda nottata o di primissima mattina.
Lo street food è spesso spartano e raramente trend, magari supporta la cucina del territorio. E quello notturno poi è diverso da quello diurno (di giorno serve a tirare all’ora di pranzo o di cena, invece di notte rifocilla).
Da Londra a Dubai
Digbeth Dining Club è lo spartiacque nel settore. La rivoluzione è arrivata con lo street food che, dopo aver preso d’assalto Londra, arriva alla periferia di Birmingham.
Ne ha parlato anche l’esperto Bill Granger sul quotidiano inglese Independent: “Lo street food va oltre le stelle di un locale Michelin”. Così, quelli di Dining Club Digbeth all’esterno della loro discoteca in estate e all’interno da autunno in poi, hanno deciso di puntare su questo stile di vita e di ristoro.
Con 5-6 sterline a piatto (meno di 10 euro circa), i buongustai intervallano le loro scatenate danze a piatti più prelibati e anticonformistici.
Tuttavia, non ci si può fermare certo a Birmingham.
I nomi delle capitali dello street food notturno sono tanti e spesso coincidono con quelli della nightlife. Si approda al cibo locale di Singapore, Tokyo e Canton e si arriva a Dubai dove trovi nelle stradine dei fumosi shawarma; si transita da Tel Aviv e all’uscita dai club sul porto ti fai un panino coi falafel; a New York mordi una bagel o un pretzel all’angolo della Quinta strada; a Miami spazio al cibo caraibico e a sandwich stravaganti; nei bassifondi di Guadalajara vicino ai sound system divori burritos e tacos; a Ibiza fermi le serrande che si abbassano davanti alle tapas; a Berlino dopo una serata techno ti fai di curry würstel; in Belgio, da Gent e Bruxelles, è un fiorire di patate fritte; nella non lontana Amsterdam e nel resto d’Olanda trionfano le frikkadellen (soprattutto della catena Febo, che merita un discorso a parte); a Londra e nel resto del Regno Unito scivola l’unto dei fish & chips. Poi c’è l’Italia, che non è certo un fanalino di coda, anzi: Napoli ha imposto a tutti la pizza; a Palermo le panelle sono lo snack nell’oscurità, a Roma i prodotti da forno vanno per la maggiore (il primo kosher Deli della Capitale, il Barrili 66, frequentato dal rapper Lord Zaimon, è fallito qualche anno fa) e Milano e tutto il nord Italia pullulano di “baracchini” (furgoni attrezzati) che puntano su panini con salamella, peperoni e cipolle e l’alternativa chiamata porchetta.
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