bevande
15 Aprile 2020
Copiare le buone pratiche adottate nel resto d’Europa per scongiurare la morte della ristorazione italiana. È questo il punto di partenza dal quale muove la Fipe, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, per lanciare l’ennesima proposta al governo: consentire ai ristoratori italiani di vendere piatti pronti da asporto ai clienti, nel rispetto delle norme di sicurezza sanitaria e di distanziamento, esattamente come accade nella maggior parte dei Paesi europei. Fipe ha infatti verificato che il servizio di take away è attualmente attivo in Francia, Germania, Danimarca, Regno Unito, Irlanda, Lituania, Malta, Svizzera, Turchia, Olanda e Finlandia. Perché in Italia dovrebbe, al contrario, rimanere proibito?
“L’Italia ha mostrato agli altri Paesi come reagire in maniera efficace al Covid-19 dal punto di vista sanitario – commenta il presidente della Fipe, Lino Enrico Stoppani – ma sulla fase 2, quella della ripartenza del mondo economico e produttivo, siamo ancora indietro. D’accordo ragionare sulle precauzioni sanitarie, anche per evitare la ripartenza del contagio, ma non possiamo farci paralizzare dalla paura. È il momento di reagire e il modo migliore è anche quello di fare nostre le best practice degli altri, consentendo tra l’altro anche ai bar, ai ristoranti e agli altri Pubblici Esercizi il servizio di take away, oggi già possibile in quasi tutta la distribuzione alimentare. In questo modo si avrebbero numerosi vantaggi: un servizio in più ai cittadini, che potranno scendere al ristorante sotto casa per acquistare piatti pronti riducendo le code nei supermercati o nei negozi alimentari, e una opportunità commerciale per un settore strategico ed identitario della nostra economia, tra i più danneggiati dall’emergenza in corso. Perdere ulteriore tempo, significherebbe favorire l’agonia della ristorazione italiana”.
L’intero comparto rischia infatti di perdere, secondo le stime del Centro Studi Fipe, oltre 28 miliardi di euro nel 2020, con circa 50.000 imprese che rischiano di non riaprire, con perdite di posti di lavoro per altre 300.000 persone. “A differenza di altri settori, che se anche in emergenza operano o che hanno organizzativamente o patrimonialmente posizioni migliori – conclude Stoppani –, i ristoratori hanno bisogno di lavorare per poter sopravvivere. Per questo è indispensabile adottare ogni provvedimento, come la possibilità di effettuare vendite per asporto, per consentire un minimo di liquidità, vista anche la complessità e i ritardi dei provvedimenti attesi per sostenere il comparto”.
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