caffè
29 Novembre 2013
Sono tante le variabili che concorrono alla realizzazione dell’espresso perfetto. Ecco il consiglio dell’esperto.
Siamo abituati a chiamare “caffè” una pianta, un fiore, una ciliegia, un seme crudo, un seme tostato, la bevanda della macchinetta e quella preparata in casa, la bevanda servita al bar… Spesso l’unica distinzione tra un “caffè” e l’altro è il marchio stampato sul pacchetto o sull’insegna del locale. Il logo e il nome, tuttavia, non bastano a definire la reale qualità di ciò che beviamo.
Per questa ragione il barista, cui è richiesta tanta professionalità per realizzare la magia dell’Espresso, dovrebbe poter trasmettere – a parole e nei fatti – la qualità del caffè servito al cliente. Ma siamo certi che il barista la sappia riconoscere?
Abbiamo chiesto un parere a Edy Bieker, responsabile della qualità e della formazione per l’azienda Sandalj Trading Company, importatore di grani verdi da tutte le origini ed oggi punto di riferimento per oltre un migliaio di torrefattori in Italia e nel mondo.
«Il sistema dell’espresso “esprime” una differenza rispetto a tutti gli altri metodi di estrazione del caffè. Questa differenza è data dalla crema che ne rappresenta la sublimazione degli aromi. Detto questo, se il consumatore si vede portare una tazzina di espresso privo di crema, dovrebbe assolutamente respingerla: non è un “espresso”. Le variabili che concorrono alla realizzazione dell’espresso perfetto sono tantissime e molte tra queste dipendono proprio dalla competenza del barista. Senza dimenticare che una splendida estrazione non è automaticamente sinonimo di qualità…
Il consiglio che diamo ai baristi è di affidarsi all’istinto per riconoscere gli elementi positivi e negativi del caffè preparato e ai sensi, in particolare a vista, olfatto, gusto e tatto. I sensi aiutano il professionista a valutare l’espresso ma, ancora prima della fase di estrazione, forniscono importanti indicazioni sul prodotto che gli viene consegnato dal torrefattore».
Gli strumenti
Il barista ha tanti modi e strumenti per lavorare bene e per riconoscere la qualità della materia prima. Quali sono?
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Caffè crudo[/caption]
«Una prima fase della valutazione consiste nell’osservare il caffè tostato: si può esaminare la grandezza dei chicchi – generalmente un crivello importante denota una buona qualità - la loro omogeneità, la loro forma per tentare di individuare la presenza della specie arabica (più pregiata) rispetto alla robusta, la gradazione della tostatura che non deve essere né troppo chiara né troppo scura e la freschezza, facendosi aiutare pure dal “naso”. L’olfatto rappresenta forse il senso più importante.
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Caffè tostato[/caption]
Se l’odore percepito è sgradevole, sino a diventare puzza, o viceversa è piacevole ed evoca un profumo, il giudizio sul caffè diventa facilmente prevedibile, indipendentemente se si riesca o meno a identificarne l’origine aromatica e ancora prima di berlo. Semmai il problema - e di conseguenza il nostro impegno - è fare cultura, insegnando a riconoscere la differenza tra ciò che è buono e ciò che non lo è».
Queste primissime osservazioni sono fondamentali quando si offre alla clientela una miscela o una singola origine di caffè e, più in generale, quando si intende conoscere a fondo il prodotto per servire una tazzina di qualità.
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