bevande
21 Agosto 2014
Una protesta lunga ben 3000 chilometri (giusto la distanza che divide Parigi da Varsavia) per lanciare il suo j’accuse contro gli sprechi di cibo della società moderna. Sarà un lungo e singolare viaggio, questo intrapreso dal venticinquenne francese Baptiste Dubanchet: infatti per tutta la durata del percorso (affrontato in sella alla sua fida bicicletta) Baptiste non si ciberà che dei resti e degli scarti di cibo che ristoranti, mense e supermercati, incontrati lungo il percorso, gli regaleranno.
Una scelta di rottura, senza dubbio, compiuta con l’idea di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle infami sperequazioni alimentari che caratterizzano il nostro tempo. Un faro puntato contro le ingiustizie, quindi, che Dubanchet ha avuto modo di toccare con mano durante i suoi viaggi in Colombia, Sud Est asiatico e Tahiti: aree poverissime in cui il cibo è un lusso.
Ma quella di Babtiste non è certo una voce isolata: di sprechi alimentari e di paradossi del cibo si parla tanto e i dati in merito sono decisamente preoccupanti.
Specialmente perché ne siamo tutti coinvolti: dal campo alla tavola è un continuo surplus di prodotti alimentari che, inutilizzati, diventano rifiuti.
Qualche dato
La FAO, infatti, stima che 1/3 del cibo prodotto al mondo viene sprecato, ma mentre nei paesi in via di sviluppo lo spreco si localizza a monte della filiera agroalimentare (a livello domestico si limita infatti a 6-11 kg pro-capite), in quelli sviluppati lo spreco si localizza a valle: distribuzione, ristorazione e consumo domestico (a livello domestico si toccano addirittura i 95-115 kg pro-capite).
L’Italia, con 149 kg a testa, è sopra la media dei Paesi sviluppati.
Secondo i dati Waste Watcher (l’osservatorio di Last Minute Market) nel nostro paese lo spreco alimentare è pari all’0,81% del PIL (circa 12,2 miliardi riferiti al 2012). Tuttavia “soltanto” lo 0,23% avviene in fase di produzione, trasformazione, distribuzione e ristorazione; la parte del leone la fanno gli sprechi domestici, pari allo 0,56% del PIL (circa 8,7 milioni di euro).
Nel fuori casa
A proposito di sprechi nell’ambito della ristorazione, si fa riferimento tanto a quella collettiva quanto a quella commerciale e si parla un po’ di tutte le categorie di prodotto. Ma quali sono le cause principali di questi sprechi?
Marco Lucchini del Banco Alimentare cita tre cause principali: l’errata pianificazione del numero di pasti, l’errata preparazione delle pietanze e l’abbondanza legata a cerimonie ed eventi.
In termini numerici, a quanto ammonta l’eccedenza alimentare nella ristorazione?
Su tutta la filiera, dal campo alla tavola, l’eccedenza alimentare annua ammonta a circa 6 milioni di tonnellate. Per quanto poi attiene nello specifico la ristorazione si parla di 0,2 milioni di tonnellate, pari al 6,3%. Di questo surplus sono più di 86 mila le tonnellate di cibo con media fungibilità (cioè facilmente riutilizzabili per l’alimentazione umana, la produzione di mangimi, la trasformazione in fertilizzanti o biocarburanti).
Sarebbero tante le soluzioni per ridare nuova vita ai cibi in eccedenza, eppure di quei 6 milioni di tonnellate solo mezzo milione (il 7,5%) viene recuperato. Anche se le stime dicono che ben il 50% potrebbe essere invece sottratto al macero. E nell’ambito specifico della ristorazione la situazione non è molto diversa: qui solo il 9% viene riutilizzato, mentre il 91% dell’eccedenza va sprecato completamente. Sono dati preoccupanti che ci allontano sempre più dall’obiettivo di riuscire a vivere in modo sostenibile all’interno del nostro ecosistema.
Soluzioni anti spreco: il test
Nell’ambito del Turismo Congressuale, è stato avviato un esperimento che ha coinvolto 4 strutture: il Grand Hotel Dino di Baveno, l’Hotel Regina Palace, il Grand Hotel Des Illes Borromes, di Stresa e la Casa di Nazareth, di Gignese, che si occupa di accoglienza di adolescenti e giovani. Per 13 giorni è stata sperimentata la raccolta delle eccedenze di prodotti da forno e colazioni ed ecco i numeri del recupero (stima per difetto):
750 brioches grandi, 260 brioche
13 torte
13 kg di pane fresco,
25 kg di pane del giorno prima.
Doggy bag: a proposito di “schiscetta”
Continuano a fiorire le iniziative che sdoganano la schiscetta da riempire al ristorante con i cibi avanzati. È il caso, per esempio, del “Repeat box”, il recipiente creato
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Credits: Evviva di Riccione[/caption]
per iniziativa del Comune di Perugia e Umbra Institute, per conservare e riportare a casa il cibo non consumato al ristorante, con l’obiettivo di ridurre, per il 2025, lo spreco alimentare del 50%.
Sulla stessa linea anche Il Buono che Avanza: la prima rete di ristoranti ad “avanzi zero”, che propongono ai propri clienti di portar via, in una doggy bag, il cibo e il vino che sono avanzati e li informano sul valore sociale di questa scelta.
Buoni esempi dall’Italia e dall’estero
Si chiama ÈVVIVA ed è contemporaneamente, caffetteria, pasticceria, ristorante, scuola di cucina e negozio dove poter comprare, oltre che cibo, anche ogni oggetto presente. La su
a caratteristica principale sta proprio nell’offerta: a scarto zero. Ciò vuol dire che qui da ÈVVIVA ci si impegna a utilizzare, ingegnandosi a trasformarle il più possibile, anche quelle parti di prodotti (alimentari, certo, ma non solo) altrove scartate senza remora alcuna.
Ed eccoci al Rub & Stub di Copenhagen, il primo ristorante aperto nella città danese con l’dea di combattere gli sprechi di cibo. Ovviamente qui non si vende spazzatura, ma semplicemente quegli alimenti che nei negozi resterebbero invenduti per ragioni estetiche o perché eccedenti.
Acquistati dal ristorante, vengono recuperati in corner e salvati dal cesto dei rifiuti.
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