vino
26 Giugno 2025
Dentro InTO Wine Fair Torino: la fiera ideata dagli studenti dell’ITS Agroalimentare per il Piemonte che rovescia i cliché su vino, generazioni e lavoro nel fuori casa
C’è una narrazione che aleggia nel mondo del vino da troppo tempo: quella che lo dipinge come un universo polveroso, affollato di etichette ingessate, linguaggi difficili e rituali esclusivi. Un mondo per intenditori, e spesso per “over 50”. Non per nulla, i consumi sono in calo, le vendite arrancano e lo spettro dei dealcolati si fa sempre più ingombrante (Leggi qui). Eppure, basta passare una giornata a InTO Wine Fair Torino organizzata dagli studenti dell’ITS Agroalimentare per il Piemonte per capovolgere tutto. Io c’ero, grazie a una dritta del collega e caro amico Fulvio Piccinino. Insieme abbiamo passeggiato nel cortile della nuova sede dell’Istituto (in via Pianezza 110) animato da 32 produttori da tutta Italia, una trentina di giovani con badge e cronoprogramma in mano e decine di bottiglie senza DOC, ma con molte storie da raccontare. La manifestazione è arrivata alla terza edizione, ma quest’anno qualcosa è cambiato: l’energia, la visione, la voglia di rottura. E soprattutto la maturità con cui questi ragazzi hanno pensato, progettato e realizzato ogni dettaglio, dal concept alla logistica, dalla comunicazione ai rapporti con i produttori.
ITS, OVVERO: IMPARARE LAVORANDO
Per chi non lo sapesse, i corsi ITS (Istituti Tecnici Superiori) sono percorsi formativi biennali post-diploma, totalmente gratuiti, finanziati da fondi europei e progettati per colmare il gap tra scuola e impresa. Quello di Torino, in particolare, è specializzato in agroalimentare. Gli studenti del corso Wine Marketing Manager – una delle tre anime della sezione marketing dell’accademia, insieme a Food e Gastronomo – seguono un primo anno di lezioni pratiche e un secondo di stage, anche all’estero.
«I professori sono professionisti del settore. Non fanno lezione nel senso classico, ti raccontano il loro lavoro. Ti fanno entrare dentro la loro realtà - mi racconta Sofia, studentessa del primo anno e referente del gruppo marketing per la fiera -. E poi ti accompagnano a cercare la tua strada: puoi fare uno stage dove vuoi, anche con Erasmus. È un’esperienza concreta, che ti fa crescere davvero».
UNA FIERA, QUATTRO SQUADRE, TRENTA IDEE AL MINUTO
L’evento è stato costruito come un vero progetto di gruppo. La classe si è divisa in quattro reparti: budget, commerciale, gestionale e marketing. Un lavoro collettivo che ha richiesto pianificazione, coordinamento, negoziazione e, non da ultimo, creatività.
Il team budget si è occupato della gestione economica dell’evento, definendo cosa si potesse fare con i fondi a disposizione. Il team commerciale ha contattato, uno per uno, i produttori – rigorosamente invitati gratuitamente. «È stata una sfida, ma alla fine ne abbiamo portati 32. Un record: gli anni scorsi si faticava a superare i venti», raccontano. Il team gestionale ha lavorato all’allestimento: spazi, turni, regolamenti, logistica. E infine, il gruppo marketing, guidato da Sofia, ha curato tutta la comunicazione: dal restyling del profilo Instagram (da vetrina a racconto partecipato) ai volantini e adesivi disseminati per la città.
«Abbiamo voluto mostrare non solo le cantine, ma anche noi stessi. Far vedere chi siamo, come lavoriamo, che faccia ha una classe di futuri professionisti del vino - racconta ancora Sofia -.Il vino spesso viene comunicato con linguaggi distanti dai giovani. Noi abbiamo provato a invertire la rotta, anche partendo dalle lezioni, dove facciamo degustazioni di nettari per allenare i sensi prima ancora di affrontare le bottiglie».
FUORI DENOMINAZIONE, DENTRO AL FUTURO
Il tema della fiera era ambizioso: vini fuori denominazione. Tradotto: vini naturali, biologici, sperimentali, PIWI (una vera sorpresa!) o semplicemente liberi da disciplinari ufficiali. Una scelta tutt’altro che neutrale, se si pensa alla diffidenza che ancora accompagna questi prodotti nel canale horeca.
Ma proprio qui si coglie la forza del progetto. I ragazzi non si sono limitati a “fare l’evento”, hanno scelto una posizione. Hanno voluto parlare di inclusione anche nel bicchiere, abbattendo i pregiudizi su quello che non rientra nei parametri codificati. «Solo perché un vino non ha una denominazione, non significa che non sia valido. Anzi: dietro ci sono ricerca, sostenibilità, sperimentazione. Volevamo far conoscere questo mondo sia ai ristoratori che ai nostri coetanei».
In effetti, InTO Wine è stata pensata per parlare sia al pubblico professionale (buyer, gestori, sommelier) sia ai curiosi. Aperta e inclusiva, proprio come il futuro che questi ragazzi vogliono contribuire a costruire.
CONTRO IL PREGIUDIZIO GENERAZIONALE
Il fuori casa lamenta da anni una crisi di personale, di motivazione, di appeal. Troppo spesso si accusano i giovani di non avere voglia, senza però domandarsi se siamo noi, come sistema, a non essere capaci di coinvolgerli. Questi studenti dimostrano il contrario: hanno voglia, idee, capacità e visione. Serve solo lasciar loro spazio. Credere nella formazione. E smettere di pretendere esperienza da chi, invece, chiede fiducia per costruirla.
«Questa fiera ci ha uniti. Abbiamo iniziato a gennaio, ci conoscevamo da pochi mesi. Non è stato semplice, ma ci siamo riusciti. E ne siamo fieri», dice Sofia. Il tono è lucido, ma pieno di orgoglio. Giustamente. Alla fine della giornata, tra calici mezzi pieni e sorrisi mezzi stanchi, una cosa era chiara: InTO Wine non è solo una fiera, è una risposta. Una dimostrazione che i giovani non sono un problema da risolvere, ma una risorsa da attivare. Che il vino non è (solo) una tradizione da conservare, ma un linguaggio da reinventare. E che il lavoro nel fuori casa può essere un orizzonte attrattivo, se viene raccontato come possibilità e non come fatica.
Sarà anche vero che i dealcolati stanno crescendo. Ma il vero rischio, per il mondo del vino, è perdere il contatto con le nuove generazioni. Quelle che oggi allestiscono cortili, organizzano fiere, e si fanno domande vere: su cosa valga la pena raccontare, bere, scegliere. E la risposta, a Torino, è arrivata chiara: il futuro, se glielo lasci fare, sa sorprenderti.
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