pubblici esercizi
25 Marzo 2022Come hanno fatto, nell'inchiesta di Mixerplanet, Francesco Sanapo e, dopo di lui, Eugenio Boer e Carlotta Perilli. Adesso è la volta di Roberto Carcangiu, presidente di Apci e direttore dei corsi di Congusto Gourmet Institute attento (e talvolta critico) osservatore
Cosa state facendo come scuola per adattarvi alla situazione?
"Usiamo buonsenso e mediazione. In realtà la pandemia non ha fatto che mettere in evidenza una serie di problematiche che già c’erano: non le ha scatenate, le ha solo rese visibili".
Il cliente è cambiato?
"Sì, ma sono cambiati i comportamenti determinati da fattori emozionali più che razionali, così è verosimile che non appena sarà “libero” tornerà a fare esattamente quello che faceva prima".
La cosa più nuova che hai visto in giro nel fuori casa quest’anno?
"Tante attività si stanno specializzando nel delivery e take away, spesso però lo fanno non con un progetto ma come reazione: manca fatturato da una parte e spostano l’attenzione dall’altra. Non è detto che funzioni, anzi. Perché facendo delivery e takaway stai creando dei costi, non li stai togliendo".
Come si può rendere la ristorazione sostenibile, economicamente?
"Bisogna mettere al centro il lavoro manuale, artigiano. Un essere umano non può essere tassato con le stesse logiche di una macchina. Vorrei chiedere al Governo di togliere l’istituzione dello stage, di lavorare sulla tassazione sui dipendenti e di normare i mestieri artigianali in modo che ci possa essere una compartecipazione per le figure apicali. Oggi in una brigata gran parte del budget è riservato allo chef, tutto il resto è carne da cannone. Quando i ragazzi ti dicono che non vogliono più lavorare in cucina chiedo: tu ci lavoreresti 12-13 ore al giorno per 800, 500 euro al mese o addirittura gratis? Se invece creiamo un sistema per cui lo chef prende uno stipendio minore ma ha due tipi di partecipazione, una legata all’incremento del valore aziendale l’altra ai costi operativi, le cose cambiano. Lo chef dovrebbe guadagnare in relazione ai risultati. Nel mondo anglosassone succede, si lavora per obiettivi. C’è poi un altro problema: le amministrazioni pubbliche per far cassetta hanno liberalizzato le licenze e in territori in cui potrebbero esservi dieci attività commerciali ce ne sono cento, ma la torta è sempre quella. Quindi non campa più nessuno".
I prezzi vanno aumentati?
"Sì ma è impossibile farlo. La gente non può pagare di più: un pensionato, un impiegato possono mangiare fuori al massimo una volta al mese, ma allora non servono più 10mila ristoranti, ne bastano mille".
Mancanza di personale: dove vedi le responsabilità?
"È colpa delle famiglie che insegnano ai figli che lavorare non è una cosa buona, dei ristoratori che non li pagano o li trattano male. Poi i ragazzi ora hanno una visione diversa della vita: che cosa cambia stare chiusi due mesi in casa e stare chiusi in una cucina 14 ore al giorno per tutta la tua vita? Se sei una persona sana non può starti bene una vita così. Il sistema si deve rimodulare, ci deve essere il doppio servizio, se non hai i soldi per pagarlo invece di stare aperto dalle 8 del mattino a mezzanotte apri solo a cena".
Sostenibilità e uso della plastica?
"La plastica nel 2022 non dovrebbe esistere, l’essere umano avrebbe già dovuto inventare altre modalità per conservare il cibo. Andrebbe fatta una critica al sistema industriale ma anche al consumatore, nessuno vende niente che la gente non compri, se smetto di comprare le vaschette di plastica con 100 grammi di affettato non le fanno più".
Salute, alimentazione, free from contano?
"Si mette sempre di più l’attenzione su questi argomenti, anche perché il mercato è fatto da persone informate e da persone che seguono quelle che chiamo le “gastroreligioni”, che sposano delle idee indipendentemente da ogni logica, quindi è diventato un obbligo tenere in considerazione questi aspetti. Più in generale insegno che a decidere cosa ci deve essere in menu non è il cuoco ma il cliente che paga".
Come vedi il futuro del fuoricasa?
"Da cuoco questa cosa mi infastidisce un po’ ma penso che la gran parte dell’attenzione sarà nel front-end non nel back-end. In cucina ci sarà una rivoluzione nelle modalità produttive, davanti ci sarà una rivoluzione nell’accoglienza. La sala prenderà più importanza attraverso arredamenti, suoni, profumi, tutti gli stimoli legati alla sinestesia [la contaminazione dei sensi a livello percettivo, ndr]. La rivoluzione è cominciata in cucina attraverso l’aspetto visual, in 15 anni abbiamo perso completamente il palato a favore e dell’aspetto visivo. Mangio piatti bellissimi ma disarmonici, con buoni ingredienti che non stanno bene insieme, scimmiottiamo gli orientali, è tutto agrodolce ma loro cucinano così perché usano ingredienti freddi e crudi, noi abbiamo bisogno di altro".
Quindi la cucina come evolverà?
"Ci sarà una rivoluzione industriale. Il cuoco smetterà di tagliare le cipolle a mano perché ci sarà una macchina che lo fa per lui mentre si preoccupa di come e dove vengono coltivate queste cipolle. È più etico un pomodoro che nasce in laboratorio o gli schiavi in campagna che lavorano 15 ore al giorno a 50 gradi per sei euro? Io vorrei un mondo in cui l’elemento umano e la tecnologia si prendono per mano e si equilibrano".
Le catene?
"Saranno sempre più diffuse perché non abbiamo soldi da spendere, non facciamo che parlare del buon cibo ma in questo siamo ipocriti, parliamo tanto e facciamo poco. C’è bisogno di un salto culturale da parte di tutti".
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