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20 Gennaio 2022Contemporaneamente si allarga la fetta dell’export e sempre più investitori sono attratti dalle opportunità offerte da questo territorio: 11 mila e 500 ettari per una produzione complessiva di 65 milioni di bottiglie (20 milioni di Barbera d’Asti). Un giro d’affari stimato intorno ai 400 milioni di euro, con un quarto dell’export di vino piemontese tutelato dal Consorzio.
“E’ stato ovviamente un anno difficile, come per tutti, ma i vari indicatori ci dicono che non solo abbiamo tenuto le posizioni alla grande, ma il nostro Consorzio cresce in termini numerici e, soprattutto, qualitativi – spiega Filippo Mobrici, a capo del Consorzio della Barbera d’Asti: questo significa che non solo paga la professionalità, ma la capacità che i nostri produttori hanno avuto di investire sul territorio, facendosi loro stessi ambasciatori di queste meravigliose terre Unesco. Qui non si tratta di celebrare un vino piuttosto che un altro. Ognuna delle nostre Doc e Docg ha peculiarità che le rendono uniche. Dobbiamo insistere su questa strada, nel solco della tradizione e del cambiamento e di uno straordinario lavoro collettivo. Tanto è vero che sono sempre di più gli imprenditori anche non astigiani che investono sui nostri vigneti”.
Tra i “marchi” che hanno fatto registrare incrementi significativi spicca la Barbera d’Asti Superiore che arriva a superare i 5 milioni di bottiglie (+ 5,6%). “Si tratta di una Barbera invecchiata per 14 mesi, con 6 di affinamento in botte, che conferma un trend positivo costante negli ultimi anni e che conferma come la qualità sia una delle componenti essenziali nel percorso di crescita” spiega Mobrici.
In grande evidenza il +13% fatto segnare dal “Nizza”: “E’ un dato che va oltre le nostre più rosee aspettative anche perché abbiamo avuto per lunghi mesi un blocco pressoché totale delle forniture ad alberghi e ristoranti, ovviamente causa Covid” spiega Stefano Chiarlo, presidente dell’Associazione produttori del Nizza. "Abbiano mercati, come quello americano, dove il Nizza è richiestissimo. E ci sono imprenditori americani o nord europei che acquistano i vigneti nelle nostre zone”.
Il Ruchè infine, da vitigno quasi “dimenticato” fino agli anni Ottanta, poi protagonista di una straordinaria ascesa fino a grandissimo rosso che ormai “fa tendenza”. “Per noi si è chiuso un anno speciale. Il traguardo del milione di bottiglie è finalmente realtà Siamo una trentina tra produttori e qualche imbottigliatore e per noi questo è un dato davvero speciale” sottolinea Luca Ferraris, presidente dell’Associazione produttori. Coltivato in sette Comuni (Castagnole Monferrato, Grana,Scurzolengo, Viarigi, Montemagno, Refrancore e Portacomaro, il paese di Papa Francesco).
Come ribadisce Ferraris “le potenzialità del Ruchè sono anche per noi ancora tutte da scoprire. Basti pensare che nei locali di Torino, su 10 bicchieri di rosso, sei sono di Ruchè”. “I clienti lo chiedono espressamente: vogliamo il Ruchè dicono. E il nostro vino piace in Asia come negli Usa, a testimonianza del fatto che è ormai un vero brand noto internazionalmente”.
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