pubblici esercizi
12 Dicembre 2020
I ristoranti sono luoghi sicuri, a confermarlo i clienti stessi. Ecco quanto emerge dall’indagine Fipe/Format Research secondo cui per ben il 92% degli intervistati l’osservanza delle norme di sicurezza sanitaria da parte dei ristoratori è stata «molto o abbastanza» soddisfacente. Esercenti virtuosi, dunque, in materia di norme anti-Covid. La tutela della sicurezza è inoltre ai primissimi posti tra le motivazioni che inducono i consumatori a scegliere un posto piuttosto che un altro. Sempre secondo l’indagine l’attenzione alle norme igieniche è l’aspetto più importante da valutare per il 47,4% dei consumatori, mentre a seguire ci sono il distanziamento dei tavoli (per il 35,2%), la dotazione di tavoli all’aperto (per il 34%), e l’attenzione al numero di persone all’interno del locale (20%). Ulteriore conferma arriva dall’analisi delle principali motivazioni che inducono a non mangiare fuori. Al primo posto la paura del contagio (66,5%) e la scarsa godibilità dell’esperienza dovuta alle rigide regole (41,5%). Una parte significativa degli intervistati, il 35%, non mangia più fuori a causa dello smart working. La conferma che i bar e ristoranti sono luoghi sicuri viene anche indirettamente dall’Istituto superiore di Sanità secondo cui il 77,6% dei contagi, attualmente, avviene in ambito domestico. Ridurre quindi di qualche ora l’apertura degli esercizi pubblici, in base al Dpcm del 24 ottobre, quando sono ben regolamentati, non fa una grande differenza, ma affossa ulteriormente un settore già duramente penalizzato. Bar, ristoranti, imprese di banqueting e catering, imprese dell’intrattenimento sono state le realtà più colpite dalla crisi economica determinata dal Covid. Ma sono state anche quelle meno supportate. L’ufficio studi Fipe ha stimato, a seguito delle nuove restrizioni imposte dall’ultimo Dpcm, una perdita di fatturato di 10 milioni di euro al giorno a cui si deve aggiungere anche la perdita subita da tutti quei locali il cui servizio non prevede la somministrazione al tavolo e che quindi sono costretti a chiudere alle 21 invece delle ore 24. Le misure contenute nel Dpcm costituiscono un colpo durissimo per un settore perde ogni mese 2 miliardi di euro di ricavi e vede a rischio 50mila imprese e 300mila posti di lavoro.
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