17 Agosto 2020
In linea con la generale tendenza italiana, non accenna a diminuire la passione dei bartender per i tatuaggi. Al contrario: cresce il numero di tattoo addicted, barlady incluse. Paradossalmente, forse oggi è più raro imbattersi in un barman privo di disegni sulla pelle che il contrario. E la mania impazza al punto che molti confessano di essere tentati dall’idea di decorarsi anche parti visibili come mani e collo. Legittimo, ci mancherebbe. Ci permettiamo però di suggerirvi di ponderare con serietà le conseguenze. Un tattoo è per sempre, rimuoverlo non è facile: posizionato dove non si può coprire potrebbe ostacolare in futuro la vostra vita professionale.
Che il tattoo sia ancora un tema delicato lo abbiamo verificato di prima persona, ricevendo più di un cortese rifiuto a partecipare a quest’inchiesta. A scanso di equivoci: oltre che da prestigiose catene internazionali d’hotel (prevedibile), i no sono arrivati pure da cocktail bar di quartieri della movida di città come Milano. Il tono delle risposte? “Grazie, ma l’argomento non è in linea con il nostro target di riferimento e con la filosofia del locale. Questione di grooming (ovvero di stile di abbigliamento, look, pettinatura etc)”.
Non c’è da stupirsi. La filosofia, la clientela e la proposta di un locale sono elementi determinanti quando si parla di tatuaggi. Come osserva Gianluca Amoni, esperto di start up, ideatore e bar manager del Mixology Bar di Milano: “Format e target di riferimento influenzano la percezione del tattoo nei gestori come nei clienti. Chi punta su tradizione e classicità disorienterebbe l’avventore se il personale avesse mani,polsi, collo e/ o viso tatuati. Chi invece desidera attirare una clientela variegata (ipotizzando che il bar sia frequentato da un popolo di avventori eterogeneo) farebbe bene ad assicurarsi invece che il team di collaboratori rappresenti stili, look, razze e sessi diversi. E gli esempi potrebbero continuare all’infinito…”.
Siamo d’accordo. Del resto, chi di voi ricorda il motto dell’albergatore César Ritz? “Siamo signore e signori al servizio di signore e signori”. Non dimenticatevelo. “Il personale stabilisce il tono e lo stile di un bar incarnando il comportamento e il look che vorrebbe da parte degli ospiti. Deve quindi seguire delle regole”, chiarisce il celeberrimo bartender Jim Meehan, da poco in libreria con il saggio Il manuale di Jim Meehan (Readrink). Quindi se è vero che oggi in molti street-bar notturni e speakeasy si permette ai barman di mostrare i propri tattoo (e a volte li si sollecita in tal senso), ricordatevi che non sempre è consentito esibirli. Al contrario, sono probabilmente più numerosi i gestori che non assumono collaboratori tatuati in zone visibili.
Giovanna Rizzitelli, barista del Caffé Leopardi (aperto dalle 7 alle 22) di Milano, al lavoro non può esibire i tatuaggi perché il padre, titolare dell’attività, non li tollera. “Un bar di successo si basa sulla cultura della responsabilità: questo significa che i doveri di ogni membro del personale devono essere chiari. Io rispetto le regole di mio padre, anche se continuo a tatuarmi in parti del corpo non visibili. Ho cominciato con una A, l’iniziale del nome di mia figlia. Da allora sono passati 15 anni e adesso ne ho ben 13 sparsi su braccia, gambe, pancia, schiena. Prima di smettere credo ne farò almeno un altro paio! Il mio consiglio? Tatuatevi solo in parti del corpo non visibili quando indossate la divisa. Per coprirli sono in commercio maniche color carne, ma sono scomodissime.
La barlady Francesca Gentile, fondatrice e titolare del Funi1862 di Montecatini Terme, gestisce un locale informale, frequentato da una clientela che non indossa per lavoro giacca a cravatta. E la sua scelta è di lasciare vestire liberamente il suo personale. “È da quando sono ragazza che amo i tatuaggi, sono un modo per raccontare la propria storia senza bisogno di parole. Caso vuole che l’intero staff del Funi1862 sia pieno di disegni sull’argomento pelle: una particolarità che ci ha reso noti in zona. Come mi vedo da anziana? Una signora diversamente giovane”.
Carlotta Linzalata bar manager di Casa Mago di Torino racconta: “Ho fatto il primo tatuaggio due giorni dopo il mio diciottesimo compleanno, con un certo disappunto dei miei genitori. Adesso, che di anni ne ho 29, il numero di tattoo è salito a sette. Coprono polsi, gomito, braccia e gambe. Il problema è che una volta che inizi diventa difficile fermarsi… Io di fatto sto già pensando al prossimo! La verità? Mi piacerebbe tatuarmi le mani, ma mi trattengo perché sul lavoro in futuro potrei avere dei problemi!”
Fabrizio Tanglota: "Oggi molti miei clienti sono incuriositi dai tattoo. Inoltre, tra la clientela vantiamo numerosi tattoo artist con cui in certi casi abbiamo anche collaborato per le grafiche del nostro menù. Se ripenso a come erano percepiti una decina di anni fa, però, lo scenario è diversissimo. Ai tempi lavoravo ogni tanto per i catering e spesso i tattoo tanto osteggiati dovevo nasconderli, così come i buchi ai lobi”.
[caption id="attachment_173146" align="alignnone" width="841"] da sinistra: Fabrizio Tanglota, Emiliano Arena barman del Dalodi di Roma, la barlady della Pesa Pubblica di Milano[/caption]
Ben 7 milioni di italiani, più donne che uomini, vantano almeno un tattoo sulla pelle. E se i fan più accaniti sono gli adulti tra i 35 e i 40 anni, crescono notevolmente i minorenni con tatuaggi (sfiorano l’8%). Quando fanno il primo disegno sulla pelle? A 12 anni. (dati Unioncamere)
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