06 Marzo 2020
Da un lato c’è il mondo dell’artigianale che soffre, dall’altro quello del confezionato che cresce a ritmi robusti. Viaggia a due velocità il settore del gelato, stando ai dati rilevati da The NPD Group tra ottobre 2018 e settembre 2019. «Complessivamente – spiega Matteo Figura, responsabile Foodservice NPD in Italia – la categoria ha messo a segno una crescita pari al 2,1% rispetto al precedente periodo di monitoraggio, ma il dato è frutto di due dinamiche fortemente contrapposte, che vedono il prodotto sfuso perdere il 2,9%, mentre quello industriale correre a doppia cifra con un allungo del 10,5%».
Alla base del fenomeno, quattro fattori principali. Il primo va ricondotto al contesto meteorologico. «La primavera-estate 2019 – osserva Figura – ha fatto registrare temperature molto elevate, che hanno spinto in modo particolare il segmento confezionato, più soggetto all’acquisto di impulso». In secondo luogo, si deve tenere conto di un trend generalizzato tanto in Italia quanto all’estero. Negli ultimi anni stiamo assistendo a una decisa virata dei gusti, che porta dal dolce al salato. Al posto di torte e cornetti si preferiscono, insomma, panini, pizzette e focaccine. Il che impatta soprattutto sull’appuntamento pomeridiano della merenda, ovvero il momento di maggiore consumo per il gelato». In terza istanza, va poi considerato il cambiamento in atto delle abitudini di consumo. «In un mercato del fuori casa che vive una stagione di ripresa – continua il manager –, si sviluppano i locali multifunzionali, mentre realtà specializzate come le gelaterie segnano il passo. In buona sostanza, l’esperienza di cono & coppetta non viene più associata a un luogo specifico (l’ice cream shop), ma sempre più spesso vissuta in canali diversi in funzione di diverse occasioni di degustazione». Un fenomeno significativo che, e qui sta il quarto fattore da valutare, si muove di pari passo con un altro trend emergente: l’arricchimento delle comande registrato a pranzo e cena. «Superato il picco della crisi – rileva Figura –, oggi si è tornati ad arricchire i menu con un maggior numero di portate, a tutto beneficio della categoria del dessert, ma a tutto svantaggio di quella dei gelati. In altre parole, l’avventore è sempre più disponibile a concludere il pasto concedendosi una fetta di torta o un dolce, opzioni che garantiscono un’esperienza più completa e strutturata rispetto a quella proposta da una semplice coppa di ice cream».
Proprio su quest’ultimo punto si può tuttavia lavorare per mettere a punto strategie di recupero. «Potrebbe rivelarsi vincente – suggerisce Figura – inserire nell’offerta di fine pasto dei ristoranti anche il gelato, proponendo ricette più sofisticate e complesse. Penso, per esempio, a torte o dolci realizzati a base di ice cream». Si potrebbe poi assecondare la crescente preferenza verso il salato, «proponendo gusti nuovi, che sperimentino contaminazioni con ingredienti saporiti – consiglia il manager –. Va detto che tentativi in tal senso erano già stati fatti in passato, ma con scarso successo. Oggi però i tempi sembrano maturi». Ancora, si potrebbe puntare sull’area salutistica, potenziando l’offerta con varianti “free from” o a basso contenuto calorico. E infine, andrà in prospettiva affrontato anche il tema del delivery. «Sarebbe senz’altro utile – conclude Figura – pensare a confezioni in grado di cavalcare questo trend».
Il calo del gelato artigianale è generalizzato e tocca tutte le fasce di consumatori: non risparmia quelle di maggiore incidenza, ovvero bambini e over cinquantenni, che insieme pesano per il 40% delle comande, ma incide anche sugli altri target.
La merenda è regina con oltre il 55% delle consumazioni, il momento pomeridiano della merenda è largamente il più importante per il gelato. I dati fatti rilevare dagli appuntamenti successivi (aperitivo, cena, dopo cena), seguono distaccati di molte lunghezze: pesano complessivamente per il 27,2%. Residuali, i serving registrati la mattina (7,7%) e a pranzo (9,9%).
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