caffè
15 Gennaio 2020
Ho avuto recentemente modo di ricevere qualche dato aggiornato sul mercato cinese. Mentre scorrevo le cifre, ripensavo alle molte e interessanti conversazioni dell’ultimo viaggio con i colleghi cinesi. I dati, si sa, sono nulla senza una chiave di lettura. Condivido qui qualche impressione e lo faccio con il gusto dell’analisi intellettuale, senza la pretesa di essere profeta: potrei d’altronde sbagliarmi, e anche di molto, perché nulla è più mutevole della Cina.
IL CONTESTO
Le informazioni in mio possesso raccontano di un paese che beve pro capite 1,5 tazze di caffè in grani l’anno. Anche le menti meno inclini alla matematica possono comprendere che il mercato è tutto sommato ancora ristretto nonostante la popolazione enorme. Sarà inoltre altrettanto evidente a chi ha occasione di viaggiare in Cina che il consumo è concentrato in contesti urbani e decisamente legato a un pubblico mediamente giovane e con una certa capacità di spesa.
IL PREZZO
Qui si innesta quindi un oggetto di conversazione che divide gli operatori in Cina: il prezzo. Bere caffè non è per tutte le tasche. Prendiamo il prezzo di un cappuccino, che oggi si aggira intorno ai 3 euro: non una cifra da poco se non si ha una posizione lavorativa più che buona. C’è quindi chi sta lavorando molto sui costi cercando di coniugare qualità del
prodotto e capacità di spesa del mercato, puntando soprattutto a ottimizzare la propria filiera. L’idea è che solo un prezzo più abbordabile potrà fare aumentare i consumi: un approccio interessante in un mercato in piena evoluzione. In questo scenario mi pare abbastanza evidente quanto l’espresso italiano davvero non possa che essere un prodotto di nicchia. Anzi, una nicchia nella nicchia date le dimensioni tutto sommato ancora modeste dei consumi. Considerati gli attuali movimenti dei big player in Cina, siamo probabilmente tuttavia destinati a una piccola quota di mercato (con la prospettiva che anche il poco potrebbe essere tanto in Cina).
STORIE DA NARRARE
Per una strana coincidenza qualche giorno prima della mia trasferta cinese avevo appena terminato di leggere “L’istinto di narrare” di Jonathan Gottschall, sulla cui copertina campeggia l’illuminante strillo “Come le storie ci hanno reso umani”. Non voglio togliere ad alcuno il piacere della lettura di questo volume, mi basterà solo evidenziare la sua idea centrale: l’uomo non può vivere senza storie. Le ama così tanto da crearle, cercarle, trasmetterle e fa tutto ciò in continuazione, in modo persino involontario. Un’idea si è rafforzata nella mia mente facendo la somma delle conversazioni in terra cinese e delle lettura di cui sopra: si può trovare cittadinanza stabile in una super-nicchia solamente se si ha una storia convincente da narrare con cui creare una forte relazione intellettuale. L’espresso italiano in Cina non può rinunciare allo storytelling: prima di pensare di sdoganare container di caffè dobbiamo davvero aumentare l’esportazione di belle storie che raccontino della nostra passione.

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