bevande
31 Ottobre 2013
Il ristorante come terminale di una filiera corta, interamente controllata. La proposta gastronomica di Eataly è incentrata su concetti come stagionalità, freschezza della materia prima, semplicità
Eataly in Campagna, versione agreste dell’arcinota creatura commerciale di Oscar Farinetti, il tempio dell’enogastronomia di qualità made in Italy dentro e fuori i nostri confini, propone ai propri clienti una cucina fondata sull’apporto degli ingredienti da parte dell’azienda agricola correlata. Se “Mangiare è un atto agricolo” come scriveva Wendell Berry, intellettuale e contadino statunitense, uno dei teorici della grande importanza dell’agricoltura per la sopravvivenza dell’uomo sulla terra, qui questa stretta relazione è esplicitata e concretizzata. «Di fatto – spiega Valter Valle, agronomo e uno dei promotori del progetto – pensiamo a Eataly in Campagna come a un luogo nel quale agricoltura, ristorazione e attività didattica si compenetrano e si completano vicendevolmente. Abbiamo dato vita a questo format particolare per ridare dignità al lavoro agricolo, per illustrare ai ‘cittadini’ il significato dell’opera dei contadini, anche riguardo alla qualità dei prodotti e per permettere loro di assaggiare sul campo questa qualità. L’attività ristorativa permette di fare questo e funge da volano anche per l’area commerciale della nostra struttura. Non a caso in cucina utilizziamo i prodotti che poi sono in vendita e spesso i clienti, dopo aver mangiato al ristorante, fanno la spesa al market per riportare a casa gli stessi prodotti».
14 ettari per la materia prima
La struttura è collocata in una cascina profondamente rivista negli spazi e nell’immagine complessiva a San Damiano d’Asti, in un territorio tra Monferrato, Langa e Roero che da queste parti chiamano Colline Alfieri. La cascina si estende su una superficie di 1.500 metri quadri, mentre il fondo agricolo occupa 14 ettari, tra frutteti, campi, serre e orti. Il vero serbatoio che fornisce materia prima fresca e di stagione per la cucina.
Il progetto ristorazione è stato sviluppato da Eataly in collaborazione con lo chef stellato piemontese Ugo Alciati, uno dei portabandiera più blasonati della cucina piemontese, riletta con personalità e rispetto. Per Eataly in Campagna, Alciati ha immaginato una cucina semplice e di qualità, una formula che lasci libero il cliente di scegliere su come comporre il proprio pasto, con un menù a rotazione stagionale, ma che propone innovazioni giornaliere sulla base della disponibilità della dispensa. Nessuna scansione classica tra antipasti, primi e secondi piatti: Eataly in Campagna spinge il più possibile il concetto di piatto unico. Senza imporre steccati elitari, né cullarsi tra le braccia di una tipicità “da gioielleria”, anzi dialogando con tutti i clienti potenziali, dai foodies più incalliti ai neofiti più curiosi di scoprire o riscoprire sapori dimenticati.
«Tra i cardini della nostra offerta – prosegue Valle – l’attenzione alla quantità di cibo offerta. Nel nostro ristorante le porzioni sono più abbondanti: grazie alla filiera corta possiamo ottenere le materie prime necessarie ad un costo più contenuto, quindi reinvestiamo una parte di questo differenziale per soddisfare maggiormente il cliente. In poche parole, cerchiamo un corretto rapporto prezzo/quantità servita».
Etichette locali, tutte anche al calice
Sessanta i coperti, mentre in cucina lavorano due cuochi. I clienti possono scegliere tra pasta, piatti di carne, verdure, macedonia e dessert. Carni della Granda sempre in menù, hamburger o tagliata, poi insalata russa, vitello tonnato che ricordano la tradizione locale, tanto per fare un esempio. Pizza solo la sera, cotta nel forno a legna.
La cantina vede la presenza di bottiglie provenienti da produttori locali e di etichette che appartengono all’operazione “Vino Libero”, ossia con un ridotto apporto di chimica in vigna e con una riduzione dei solfiti impiegati in vinificazione. I clienti possono scegliere di degustare tutti i vini in carta anche al calice. «Riteniamo - conclude Valle - che il ristorante come terminale di una filiera corta sia un elemento vincente per la riscoperta e la salvaguardia degli agricoltori locali, anch’essi schiacciati dalla bassa redditività e da un meccanismo di creazione di valore che si allontana da loro. Su un punto voglio essere chiaro: non siamo un ristorante a chilometri zero. Ritengo che questo concetto sia ampiamente abusato e che non sia esaustivo della complessità nella composizione di una proposta ristorativa. Pensiamo al Piemonte, regione che ha un’agricoltura ricca di prodotti eccezionali e una cucina strettamente correlata a questi, ma che non riuscirebbe a coprire lo spettro completo.
Credo che la filiera corta associata alla ristorazione comprenda un modo diverso di intendere la cucina, senza rinchiuderla in nessun ghetto, ma esaltando concetti come freschezza e stagionalità, basilari anche per un ristorante».
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