17 Novembre 2014

Né superstar, né ieratico predicatore terzomondista. Alcuni l’hanno definito il migliore chef sconosciuto ai più. Ma al di là delle stringate definizioni giornalistiche, Gaston Acurio è un’interprete di prima grandezza della cucina peruviana e di quella latinoamericana, considerata dai più grandi cuochi internazionali la “next big thing” della
gastronomia mondiale. Jordi Roca e René Redzepi, rispettivamente numero 1 e 2 nella classifica dei 50 Best Restaurant 2013 nella guida Sanpellegrino non hanno dubbi: il prossimo leader della cucina mondiale sarà sudamericano. E Acurio, che ora occupa il 14esimo posto della suddetta classifica con il suo Astrid Y Gaston Casa Moreyra di Lima è il candidato più accreditato a occupare questa posizione. Incontrandolo stupiscono le sue mani, in un perenne gesticolare, il tono calmo e pacato nella voce, il volto sereno. Ma negli occhi brilla una fiamma, che si alimenta con la ricerca e la riscoperta delle ricette peruviane precolombiane, che vede la cucina come veicolo per ridurre le ingiustizie sociali e il cibo come elemento necessario per rafforzare legami e la fratellanza tra i popoli.
Un Che Guevara ai fornelli? Semplicemente un cuoco che, attraverso il suo lavoro, ha saputo dare risalto alla cucina tradizionale peruviana e che oggi vuole esportare la sua visione in tutto il mondo. Italia compresa, paese che ha avuto nel dopoguerra una forte relazione con il Perù, e che rimane nel cuore di Acurio, anche per la sua cucina e i suoi piatti più rappresentativi.
Cosa significa essere uno dei personaggi più conosciuti in Perù? Sente la responsabilità di questo?
La popolarità degli chef in questi ultimi anni è aumentata, ma noi non siamo delle superstar. Dobbiamo sentirci come un ponte, per avvicinare due mondi che hanno vissuto separati per molto tempo. Lima, la capitale del Perù, ha 10 milioni di abitanti, tantissimi dei quali arrivano da piccoli villaggi agricoli, da fattorie, dalla zona delle Ande o dell’Amazzonia. Invece di essere pieni di riconoscenza per i contadini, che ci forniscono la materia prima più importante per l’uomo, ossia il cibo, questi spesso sono trattati con disprezzo dalle classi urbane. I contadini sono visti come persone del passato, quasi inferiori, che vivono in condizioni difficili. I cuochi possono incominciare a dire ai propri clienti quanto importante è il lavoro dei piccoli agricoltori, quali prodotti eccezionali possono finire sulle nostre tavole, quanta varietà che è anche cultura. In questo modo stiamo stabilendo una nuova relazione tra mondo urbano e campagne, basata sul rispetto e portatrice di pace. Il Perù ha avuto per lunghi anni un’opposizione armata chiamata Sendero Luminoso, che veniva proprio dalle zone rurali più profonde e che rivendicava più benessere per gli abitanti, pastori e contadini. Oggi, se riportiamo l’agricoltura al centro di un movimento culturale più ampio possiamo dare un futuro migliore ai contadini, a quelli piccoli, che possono sentire più rispetto. Ed evitare l’uso della violenza.
Quasi un manifesto politico...
È una visione che comprende natura, ambiente, società, economia, fratellanza. Come cuochi possiamo costruire una storia eccezionale, basata non solo sul gusto: i nostri clienti, i tanti giovani che ci ammirano si aspettano di più, vogliono conoscere le connessioni tra piatto, ingredienti, sistemi di cottura, di coltivazione. Una grande opportunità per gli chef di diventare una cerniera tra questi mondi così distanti.
Facendo il loro lavoro, cucinando, non diventando dei politici. Il mondo cambia, ci sono relazioni orizzontali più facili; anche nelle zone più povere internet offre la possibilità a tutti di generare informazione. I giovani chef sono molto più connessi a questa filosofia, quando cucinano pensano a tutti questi aspetti, l’ambiente, la società, il tessuto produttivo. Siamo in un momento storico nel quale il cibo ha grandissima importanza.
La cucina latinoamericana sarà il futuro?
Siamo stati colonizzati e sono passate 15 generazioni prima che qualcuno ripensasse al fatto che eravamo una nazione di nativi. Oggi insieme agli chef di Brasile, Argentina, Cile, Messico stiamo facendo in modo che la cucina dia un messaggio di ritorno ai valori tradizionali, anche rivisti e innovati. È solo una questione di tempo.
Qual è il suo ingrediente identitario?
In Perù abbiamo una grande varietà di peperoncini (ajii) differenti, non è solo una spezia, ma per noi è un gusto e un colore. Abbiamo un piatto tradizionale in Perù chiamato Caucsa una patata lessata condita con peperoncini gialli che conferiscono al piatto un colore acceso e caratteristico. Senza questo peperoncino è solo puré, ma con il chili giallo diventa un piatto spettacolare. Abbiamo zuppe, stufati, l’aji dà l’identità della cucina peruviana. E per me è un ingrediente fondamentale.
Qual è il suo piatto preferito della cucina italiana?
Gli spaghetti alla carbonara. Mi ero messo in testa di cercare il migliore in Italia, ma ogni volta che vado in un ristorante ne trovo una versione eccellente. Per me è diventata una sorta di ossessione...
La cucina peruviana
E’ una delle più ricche e variegate al mondo, frutto degli innesti post coloniali (spagnoli, francesi, africani, cinesi,giapponesi, italiani) sulla tradizione precolombiana. Tra i prodotti caratteristici la patata, oltre 4.000 varietà coltivate, il camote (patata dolce), aji, il caratteristico peperoncino, e innumerevoli tipologie di ortaggi e frutta. Con una tela ricchezza di materie prime e con le tante influenze in merito a tipologie di cottura e di piatti, il panorama gastronomico peruviano è sterminato, tra zuppe, brasati, carni e pesci marinati, fritti.
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