13 Aprile 2014
Terzo appuntamento con Dopo-Report, lo spazio che MixerPlanet dedica alle riflessioni proposte dei protagonisti del mondo del caffè sulla scorta delle accuse lanciate al settore pochi giorni fa dalla trasmissione di Rai Tre. Dopo Edy Bieker, a.d. di Sandalj Trading Company, ed Enrico Meschini, titolare di Le Piantagioni del Caffè e presidente di CSC - Caffè Speciali Certificati, questa volta tocca dunque ad Alberto Polojac, responsabile qualità e acquisti di Imperator, nonché trainer autorizzato Scae per i moduli Green, Roasting, Sensory e Brewing, Q Grader e Campione Italiano Cup Tasting Championship 2009.
«Da parte della redazione di Report - osserva il manager - è stata un’impresa davvero ardua quella di raccontare il mondo del caffè al bar in pochi minuti. A fronte di una realtà tanto complessa, le vie da scegliere potevano essere essenzialmente due: concentrarsi su pochi aspetti da chiarire a fondo, oppure fornire spunti, “sorsi” di un mondo grande e complesso, suscitando curiosità e interesse e facendo scattare il desiderio di andare oltre. La via scelta è stata indubbiamente la seconda: lacunosa a fronte dei tanti, troppi aspetti che si sarebbero dovuti affrontare, ma senza dubbio stimolante, soprattutto per gli operatori e i consumatori finali, come evidenziano i riscontri sui social. Vorrei quindi contribuire a fare luce su alcuni aspetti e proporre alcune riflessioni, che spero possano generare un dibattito costruttivo e fornire qualche nozione in più a chi opera col caffè e a chi si avvicina ad esso da consumatore.
Focus specialty
«I primi “testimoni” della maggiore complessità e finezza dell’Arabica rispetto alla Robusta - spiega Polojac - sono la genetica della pianta e il gradimento che il mercato mostra nei suoi confronti. È la specie più prodotta (60% del totale), non per la sua resa o perché sia più facile da coltivare, ma in quanto è la più richiesta sul mercato perché più dolce, aromatica e fine. Tra le sue varietà nell’ultimo decennio si è fatto sempre più strada il segmento Specialty, caffè con proprietà organolettiche fuori dal comune rispetto al caffè commerciale e con una storia in più da raccontare, legata a chi l'ha prodotto, come è stato raccolto e processato, a quale varietà botanica appartiene. Il mercato, nonostante i continui e progressivi aumenti della borsa di NY (riferimento per i prezzi dell’Arabica), sta andando in questa direzione e il consumatore è un soggetto sempre più consapevole; non seguire questo trend barricandosi dietro a una presunta tradizione è deleterio dal punto di vista commerciale. Al di là del puro piacere edonistico, il settore specialty è da tenere in considerazione quantomeno per il valore che può avere da un punto di vista economico (margini maggiori) e imprenditoriale (in linea con il mercato)».
Trieste e il caffè
«Il caffè non appartiene a un territorio specifico se non a chi lo produce e a chi lo consuma; non esiste dunque un terroir napoletano o triestino. Esiste invece la conoscenza della materia. Da triestino e da rappresentante della terza generazione di una famiglia che da molti anni opera nel mondo del caffè crudo, vorrei ricordare il ruolo che questa città svolge per il caffè, in Italia e nel mondo. È il primo porto del caffè nazionale (qui viene sdoganato il 30% del prodotto importato), di cui ha sviluppato un vasto mercato grazie a elementi quali cultura, passione e un’elevata concentrazione di aziende che operano nel settore. Il Trieste Coffee Cluster è l’agenzia per lo sviluppo di questo distretto industriale e ha al suo interno tutto il know how di eccellenza inerente la filiera del caffè espresso. L’Associazione Caffè Trieste è la più antica in Italia (fu fondata nel 1891) e terza in Europa dopo Amburgo e Amsterdam. La formazione è importante e completa, distinta in due filoni principali: quella offerta dall’Università di Trieste, che da più di 10 anni ha in seno al dipartimento di Scienze della Vita - Facoltà di Biologia, il dottorato di Ricerca in Scienze Tecnologia ed Economia nell’industria del caffè. Il secondo è la formazione ai baristi o agli operatori organizzata presso alcune aziende, come l’Università del caffè di illy, una scuola di formazione per baristi articolata in più corsi. L’ultimo importante ingresso in questa realtà formativa è quello del Trieste Coffee Institute, un modello unico di sinergia tra formatori e aziende, realizzato da alcuni trainer autorizzati Scae».
Riconoscere la qualità
«Conoscere le caratteristiche della materia prima, le metodologie più corrette per la sua trasformazione e il prodotto che ne deve risultare in tazza - osserva ancora il manager - è importante per il torrefattore, il barista e il consumatore finale.
Per il torrefattore perché consente di:
- analizzare sul crudo la presenza di difetti visibili o corpi estranei ed eventuali odori sgradevoli;
- verificare la percentuale di umidità del prodotto (deve essere compresa tra 8 e 12%);
- procedere all'analisi organolettica del caffè estratto in infusione (tostatura chiara, dopo il primo crack e 8,25 gr ogni 150 ml di acqua come da protocollo internazionale);
- annotare su una scheda di assaggio pregi e difetti di quel caffè (a livello olfattivo e gustativo);
- assaggiare quel caffe usando il metodo di estrazione a cui sarà destinato ricercando il profilo di tostatura più indicato a esso.
Al barista permette invece di :
- verificare la data di tostatura o di confezionamento del prodotto (nonostante la shelf life possa arrivare fino a 2 anni, è consigliabile un consumo entro il terzo mese dalla tostatura);
- conservarlo in luogo adeguato (asciutto e lontano da fonti di calore);
- una volta aperta la confezione, annusare il caffè in grani ricercando eventuali odori sgradevoli (off-flavours);
- macinare solo la quantità necessaria;
- flussare l'acqua per qualche secondo tra un’estrazione e l'altra ("purge");
- monitorare costantemente l'estrazione (aggiustando in caso macinatura, dose o temperatura nel gruppo);
- assaggiare di tanto in tanto il caffè per assicurarsi che non ci siano difetti;
- effettuare una pulizia e manutenzione quotidiana dei macchinari: macinacaffè (compresa la campana) e macchina (lancia vapore compresa).
Infine, dà modo al consumatore di:
- verificare colore e tenuta della crema: deve essere di color nocciola, possibilmente tigrata e dalla trama fitta, elastica e senza buchi e mantenersi per un paio di minuti;
- portare la tazzina al naso per analizzare sentori positivi o negativi:
- gustare il caffè; non dovrebbe avere sentori negativi quali amaro carbonico, dolce sgradevole (fermentato), chimico/fenolico, ammuffito o lasciare in bocca una sensazione di secchezza (astringenza).
Chiaramente, anche il migliore torrefattore e il più abile dei baristi non potranno ottenere un buon espresso da una materia prima scadente; per questo è importante imparare e mettere in pratica i passaggi che ho illustrato: sono la prassi ideale per prendere quella confidenza con il prodotto caffè e acquisire una capacità analitica e critica fondamentale per il lavoro (e per garantirsi il meritato “piacere” in tazza) di ogni giorno».
Scae: è il momento di scegliere
«Ed è con una riflessione su Scae che concludo questo mio non breve, lo riconosco, intervento - afferma Polojac -. La sua reazione alle anteprime di Report con gli assaggi di Andrej Godina è stata quantomeno scomposta, nonostante condivida il fatto che sarebbe stata opportuna una condivisione dei contenuti dell’intervento tra suo membro rappresentante del direttivo che si accingeva a realizzare un intervento pubblico (sebbene in forma personale) e l’associazione. Credo che per una realtà che si propone come punto di riferimento per il settore Specialty sia arrivato il momento di scegliere da che parte stare. La Specialty Coffee Association of Europe che io conosco e in cui mi identifico è quella che ha formato innumerevoli trainer nel mondo su ogni aspetto che riguarda la materia del caffè con grande determinazione, entusiasmo e serietà. Non “super”, ma “di parte”: dalla parte della qualità, al di fuori delle classiche logiche del mercato. Vogliamo “sincronizzare” nuovamente le nostre bussole?».
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