caffè
24 Settembre 2019
Amo l’italiano, intensamente. Non saprei spiegarne esattamente le ragioni, ma è una lingua che lego alla creatività della nostra cultura e che mi sembra estremamente versatile, con un lessico dettagliato e specifico. Durante la mia ultima visita a Internorga ad Amburgo, una delle fiere più rilevanti del panorama internazionale per quanto riguarda il settore dell’ospitalità, mi sono reso conto che non sono l’unico a nutrire passione per la nostra lingua. Soprattutto nelle aree dedicate al caffè ho notato un uso esteso e massiccio di lessico italiano. In particolare, aggettivi possessivi e qualificativi accostati ai prodotti, un
proliferare di sostantivi italiani componenti i nomi stessi di caffè, capsule, cialde per nulla legati al nostro paese. Non credo che si possa qualificare questo fenomeno come “italian sounding”, quel caso in cui il venditore di un prodotto non italiano sceglie un nome che richiama nettamente quello di una famosa produzione made in Italy (uno su tutti: il Parmesan), magari rafforzando l’effetto con i colori del tricolore o con elementi iconografici della nostra storia. Qui il punto è più sottile: non traspare un’intenzione di contraffazione, ma una strategia per attivare nella mente del consumatore l’area del life style del Belpaese. Ciò avviene specialmente nel pubblico tedesco che, per nostra fortuna, ha un’immagine altamente positiva del made in Italy a tavola. In altre parole, aggettivi e sostantivi italiani sono utilizzati per dare smalto di marketing: scintille magiche che scaldano l’immaginario teutonico.
LA TUTELA DEL NOSTRO CAFFÈ
Di fronte a tale uso della lingua italiana mi è apparsa in tutta la sua evidenza l’importanza di continuare a tutelare il nostro caffè in modo collettivo. Opporre alle troppe frequenti operazioni di maquillage linguistico, alcune così spudorate da risultare ridicole, la forza della genuinità del prodotto originale. Tutela e promozione che devono essere collettive e che necessitano di una massa critica sempre più grande di aziende italiane con la medesima idea di espresso italiano. Al vuoto spinto di questo sciorinare di lessico italiano per nobilitare caffè di altri è necessario contrapporre l’identità diffusa che risiede in centinaia di torrefattori italiani. Nello stesso tempo, per evitare a noi stessi di annacquare l’identità dell’espresso italiano, è essenziale avere ben chiaro il perimetro certo e affidabile in cui muoversi. È indispensabile quindi continuare a sottolineare il profilo sensoriale dell’espresso italiano, che include le sue declinazioni regionali. Altrimenti facciamo il gioco di chi non ha nulla a che fare con il nostro paese ma indulge sfrontatamente nell’abuso della nostra lingua per ammaliare i consumatori.

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