26 Febbraio 2019

Grappa: quale futuro per i distillatori italiani

di Maria Elena Dipace


Grappa: quale futuro per i distillatori italiani

Il 2018 sarà l’anno della svolta per i grappaioli italiani. È questa la tesi sostenuta nel summit organizzato pochi mesi fa a Visnà di Vazzola, nella sede della distilleria di Roberto Castagner, a margine di un incontro sul filone “La Grappa ricerca il suo futuro”. Seduti attorno allo stesso tavolo c’erano le distillerie Castagner, Bertagnolli, Bonollo, Branca, Casoni, Franciacorta, Marzadro, Nardini, Segnana, Stock Italia e Zanin. Assieme, rappresentano il 70% del mercato della Grappa. Un mercato che registra da qualche anno un calo di consumo in termini assoluti: nel 1974 era di 39 milioni di litri, nel 1999 erano 21 milioni, poi saliti a 30 nel 2008 e quindi scesi ad oggi a 23 (dati Iri). I numeri tuttavia mostrano una crescita dei prodotti premium, e anche un sempre maggior interesse per questa acquavite da parte di quella fascia di consumatori colti e benestanti che amano solo i prodotti di alta qualità e di tendenza. Da queste analisi, le prospettive per il futuro vengono tracciate dal moderatore dell’incontro Ottavio Cagiano de Azevedo, direttore di Federvini, che abbiamo voluto incontrare per fare il punto sullo stato di salute di questo distillato simbolo del Made in Italy.

Nell’incontro di Vazzola si è parlato del 2018 come anno di svolta per i grappaioli italiani. Perché?
La distillazione in Italia ha secoli di tradizione alle spalle, ma i maggiori cambiamenti nel settore sono legati, senza voler dispiacere altri protagonisti, a parti-re dagli anni ’70, alle iniziative della Distilleria Nonino. Da allora è stato un crescendo di attenzioni e cure da parte dei produttori, sia durante la distillazione, sia intervenendo moltissimo sul packaging. A fianco di questo percorso di rinnovamento del prodotto, le aziende del comparto hanno spinto enormemente per una diversa tutela internazionale, trovando nel Ministero delle Politiche Agricole un attento interlocutore a partire dal 1989 quando fu riconosciuto nel regolamento CE 1576/89 che il termine Grappa poteva essere impiegato solo per la produzione italiana (e svizzera). Per arrivare al 2008 quando l’Italia ottenne che la denominazione Grappa fosse riconosciuta nella UE come Indicazione Geografica.

In un mercato dove si beve sempre meno Grappa bianca sono state individuate due strade da percorrere: l’utilizzo da parte di bartender di fama, e l’innalzamento degli standard qualitativi…
Sono due filoni rilevanti: se in Italia, come anche in altri mercati, abbiamo avuto un prevalente interesse per il consumo delle acquaviti e dei liquori, in molti altri mercati il consumo prevalente avviene in mix. Non che il bere miscelato fosse sconosciuto da noi, ma ha trovato più recentemente maggiore interesse: e in questo campo è molto apprezzata l’offerta sempre più curata da parte dei bartender. È quindi naturale che si cerchi di migliorare l’attenzione alle caratteristiche delle grappe per cercare di individuare quegli elementi che possono influire sul tessuto gustativo per meglio armonizzare il sapore con altri componenti.

I dati IRI parlano di una Grappa in leggero calo di consumi ma in continua crescita nel segmento premium. È d’accordo con questa analisi?
Gli effetti della recente crisi hanno inciso sia sui livelli generali di consumo, sia sulle abitudini di consumo facendo emergere ancor più forte l’attenzione verso i prodotti di qualità: insomma, si è rafforzato quel percorso fondato sul “bere meno, bere meglio”.

La Grappa ‘moderna’ è sempre più elegante e morbida ed è amata anche dalle donne e dalle generazioni più giovani. Come spiega questa nuova tendenza?
Due le questioni che più di ogni altra hanno influito sul cambiamento: la differente attenzione che la Grappa ha ricevuto dal consumatore una volta che le sue caratteristiche intrinseche e di confezionamento sono state profondamente riviste; e la presenza di tantissime ‘distillatrici’, che hanno favorito questo cambio, diventando testimonial ancor più credibili verso le consumatrici. Indubbiamente la sapienza, la professionalità e la passione di chi distilla, hanno saputo cogliere negli anni le peculiari caratteristiche delle vinacce: oggi le cantine le inviano alle distillerie in condizioni di freschezza e profumi ben diverse da quelle di cinquant’anni fa. Non va mai dimenticato che la Grappa è “sorella” del vino: i tanti miglioramenti che i produttori vinicoli hanno introdotto nei vigneti e in cantina hanno portato benefici anche in distilleria.

Le distillerie italiane hanno spesso carattere famigliare o sono piccole imprese e quindi faticano a competere coi player mondiali dei distillati. Quanto pesa questo in termini di crescita?
Pesa molto, soprattutto se consideriamo che chi distilla e imbottiglia impegna già enormi energie e risorse in queste attività. Ma non termina lì la fatica perché poi dovrà misurarsi con la distribuzione, con il mondo bancario, con la burocrazia, etc. … ma sono confronti inevitabili, sappiamo che lo scenario non può che essere questo.

Quali obiettivi si deve dare la Grappa per i prossimi anni per vincere una sfida che oggi esce dai confini nazionali?
È naturale che l’obiettivo principale debba essere la crescita: possiamo discutere se è sufficiente concentrarsi sul prodotto e cercare di far crescere il solo volume di Grappa esportata, oppure se si debba agire anche sulla leva culturale offrendo, accanto al prodotto, una maggiore informazione sulle sue caratteristiche e sulla sua versatilità. Dobbiamo anche aggiungere una particolare attenzione alla tutela della Indicazione Geografica, facendo in modo che sempre più negli accordi internazionali il termine ‘Grappa’ sia presente nell’elenco dei nomi registrati e tutelati. E ancora: dobbiamo migliorare il racconto di questo prodotto, delle sue caratteristiche e modalità di produzione, soprattutto sui mercati esteri.

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