31 Ottobre 2016

Dalla Milano da bere alle campagne 2.0: comunico ergo sum

di Anna Muzio


Dalla Milano da bere alle campagne 2.0: comunico ergo sum

Siamo nel 1986: la pubblicità di un noto amaro meneghino (in attesa dei telefonini, sono i distillati tra i protagonisti più attivi dell’advertising) diventa il simbolo di un’epoca. Sulle note dei Weather Report, una voce fuori campo esalta la “Milano da bere”. Nonostante sia già cominciato il declino economico e sociale che si conclamerà con Tangentopoli, c’è ancora euforia per il boom economico. «La campagna di Marco Mignani ha interpretato e segnato un’epoca, entrando nel gergo quotidiano – spiega Vanni Codeluppi, sociologo e professore ordinario in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università IULM di Milano –. Dagli anni ’90 parte una lenta crisi che si è poi acutizzata, cambiando il mondo dell’impresa. Sono arrivati i discount, il low-cost e varie proposte alternative che hanno messo in crisi le grandi marche. La pubblicità ne ha risentito, si sono ridotti gli investimenti e lo spazio per creatività e innovazione. L’evoluzione tecnologica del web negli anni 2000, però, ha dato la possibilità di sviluppare nuove forme di comunicazione».

TV ANCORA PROTAGONISTA In Italia oggi gli investimenti si concentrano però ancora nella tv, e in misura molto minore negli altri mezzi tradizionali. Il web sta crescendo, lento ma inarrestabile. Ma il settore che registra gli incrementi maggiori e cresce più di tutti è il mobile, img4080ormai porta privilegiata per la ricerca di un locale, un evento, una recensione e sempre più anche un acquisto. La tv invece resta un mezzo costoso, che non tutte le aziende si possono permettere, tanto che il beverage ha perso visibilità. Però la televisione è ancora in grado di dare un’enorme visibilità, catalizzando l’attenzione di milioni di persone, soprattutto in occasioni come i grandi eventi sportivi.

IL FUTURO TRA WEB E SOCIAL C’era una volta l’idea brillante, evocativa. Oggi questo non basta più. Ogni comunicazione va tradotta nei diversi linguaggi: canali tradizionali, Internet, social, eventi. Ognuno con le sue specificità. Televisione e web, ad esempio, sono diversissimi in quanto a logica comunicativa. Se la fruizione della tv è passiva, nella rete le persone sono coinvolte e spinte a partecipare. I casi in cui il web è stata sfruttato nelle sue piene potenzialità però sono ancora rari. Un esempio convincente sono gli spot di Heineken, sponsor della Champion’s League, che raccontano in vari modi una situazione in cui, pur di assistere alla finale, alcune persone vengono messe davanti a una scelta difficile. I video, diffusi e condivisi tramite i social, sono diventati virali. E l’idea ha funzionato proprio perché il web ha amplificato il messaggio, in tempo reale o quasi. In futuro aumenterà l’influenza della rete, per le persone e per le aziende. Oggi siamo ancora in una fase di sperimentazione, nessuno ha certezze, ma ormai la strada è segnata. Cambiano anche i valori e l’approccio delle aziende, che ormai, spinte dalle richieste di un cliente sempre più attento e in dialogo con l’impresa, devono considerare elementi valoriali quali la responsabilità sociale d’impresa. Da qui, le campagne per un uso responsabile dell’alcol, che hanno impegnato le più importanti multinazionali del beverage (ve li immaginate “Michele” del Glen Grant o il veterinario dell’Amaro Montenegro che invitano a bere con moderazione?).

RIPARTIRE DAL LOCALE FISICO Il bar da sempre fa da palcoscenico alle campagne pubblicitarie, di bevande alcoliche in primis, ma anche del caffè. Dall’amaro Cynar al Biancosarti, dal cognac René Briand con uno Yul Brynner all’apice del successo alle innumerevoli birre. Eppure, al suo interno si comunica poco e male. Un’occasione perduta, perché i luoghi di consumo oggi sono un mezzo potente per creare e comunicare la marca. img4135Tanto che brand come illy o Vergnano aprono monomarca, in Italia e, soprattutto, all’estero. Così che il luogo stesso diventa uno strumento di comunicazione. «Il digitale non sostituirà il fisico: punti vendita, locali, bar, musei. Ora le aziende cercano di lavorare sugli spazi per attirare il consumatore con un’esperienza, “reale” e sensoriale – dice Codeluppi –. Oggi però il bar è ancora poco utilizzato dalle aziende, mentre anche il bar generico potrebbe essere preso in considerazione per organizzare promozioni ed eventi. Cosa che avviene raramente, più spesso ci sono solo cartelli tristi e messaggi insignificanti». Il bar può legarsi ad una rete di locali eccellenti, ad esempio tramite un’App, come quella di Caffè Ottolina. Lavorando sullo spazio fisico e digitale insieme, si aumenta l’efficacia della comunicazione. Un’altra differenza che sta lentamente mutando il mondo della comunicazione aziendale deriva dal fatto che il mercato, rispetto a 30 anni fa, si è allargato: le grandi marche sono meno forti e sono entrati nell’arena tanti piccoli produttori, artigianali e locali. Come è successo nel mondo della birra. Allo stesso tempo però, sono aumentati i mezzi per farsi conoscere e comunicare, anche a costo zero. «Dunque in futuro avremo meno eventi clamorosi e un maggiore dialogo attraverso la rete tra azienda e consumatore» conclude Codeluppi. Una comunicazione bilaterale, che trasmette una storia e un valore, senza strillare. Con la possibilità per il bar di inserirsi come trait d’union tra i due, in una logica di comune vantaggio.

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TAG: COMUNICAZIONE,SOCIAL,MIXER 30 ANNI

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