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28 Settembre 2023

La caffetteria deve «copiare» l’enoteca: ne parliamo con Andrej Godina

di Anna Muzio


La caffetteria deve «copiare» l’enoteca: ne parliamo con Andrej Godina

Andrej Godina è coffeesperto, PhD in Scienza, Tecnologia ed Economia dell’Industria del Caffè  all’Università di Trieste, Authorized SCA trainer, formatore e consulente e autore di vari libri. Il più recente è Caffè & Vino - Due mondi una guida scritto con il giornalista Mauro Illiano. Lo abbiamo raggiunto per farci spiegare che ha a che fare questa nuova uscita con il mondo del bar e del barista.

Innanzitutto, a chi è rivolto questo tuo nuovo libro?
Con Mauro abbiamo pensato a un libro che sia utile ai neofiti della filiera del vino e del caffè ma anche agli esperti o agli appassionati che possono trovarci qualche chicca. Come è stata la mia filosofia dei libri precedenti sul caffè, vuole essere un libro che faccia cultura e sia leggibile da chiunque. A essere sincero, spero che il mondo del vino che ormai ha una cultura molto più diffusa di quello del caffè faccia un po’ da traino alla cultura del caffè, che è una filiera di solito totalmente sconosciuta.
Il barista può utilizzare uno storytelling di parallelismo tra vino e caffè per incuriosire, per far capire la filiera del cafè ai suoi clienti in modo più facile e intellegibile. Il libro è rivolto anche ai sommelier, appassionati e professionisti del mondo del vino che possono far conoscere attraverso questi parallelismi il mondo del caffè a consumatori attenti e già formati, come sono generalmente quelli del vino.

Il caffè come il vino, sembra una provocazione: in realtà voi dimostrate che le connessioni ci sono, eccome. Quali invece le principali differenze, le spieghiamo al barista?
È vero, le due filiere hanno tante somiglianze ma ahimé c’è una differenza sostanziale e molto importante in particolare sull’ultimo passaggio di filiera. Mentre il sommelier deve raccontare, aiutare il consumatore a scegliere la giusta tipologia di vino per il momento di bevuta e servirlo alla giusta temperatura, dispone di una bevanda già pronta: basta stappare, stare attenti che non sappia di tappo, che sia stata conservata bene, dopo di che il lavoro è finito. La filiera del caffè ha questa grande complicazione in più, ovvero che il barista compra un semilavorato. Quindi al pari dell’enologo deve fare la bevanda e questo comporta una grande conoscenza, perché a parità di caffè tostato tu puoi estrarre n flavori diversi, cioè n tazze diverse.

In che modo?
Con il grado di macinatura, cambiando la dose, la temperatura dell’acqua, scegliendo il metodo di estrazione, cambiando i livelli di pressione della macchina per caffè espresso, facendo una bevanda calda o una bevanda fredda. Ci sono tutta una serie di variabili che il mondo del vino non ha nell’ultimo passaggio, perché se le gioca in cantina. Ecco perché c’è questa complicazione e, anche se spesso il barista non se ne rende conto, alla fine è un vero e proprio enologo perché deve costruire la bevanda con consapevolezza, conoscenza e professionalità al fine di consigliare al cliente la tazza migliore. Poi c’è tutto il tema della conservazione dei chicchi di caffè tostato.

Utilizzata da molti gestori per giustificare il fatto di proporre il “caffè unico”: non ho abbastanza smercio per tenerne di più…
Ormai a una caffetteria non basta un solo tipo di caffè ma ne deve avere almeno tre o quattro se vuole simulare il lavoro delle enoteche. Quanto alla conservazione del prodotto, occorre inventarsi un nuovo sistema che prevede monodose sottovuoto magari conservate in freezer, in modo che il barista possa mantenere il prodotto integro almeno per sei mesi o addirittura un anno.

Cosa si dovrebbe fare per operare il “salto” che fece il vino in Italia negli anni ’80? Senza uno scandalo terribile come fu il metanolo non se ne viene fuori?
In realtà è un salto che il caffè ha già iniziato a fare, quello che manca è trovare i caffè di alta qualità capillarmente sul territorio, se cerco un caffè al flavore di albicocca di sicuro non lo trovo al supermercato né in enoteca. Manca un’azione di filiera per rendere disponibili al consumatore i caffè in una varietà molto più ampia.

Poi c’è la questione della formazione
Un punto chiave che la filiera, tutta insieme, sinergicamente deve risolvere, a tutti i livelli. A partire dalla formazione del torrefattore: la categoria deve fare delle azioni serie e professionali di aggiornamento, non solamente tecnico ma anche imprenditoriale. È necessaria una formazione del barista, che deve diventare una professione al pari dell’enologo, però questo comporta il problema che va anche pagato adeguatamente! 

Vero, il lavoro va pagato: e la tazzina che prezzo deve avere?
Un altro punto chiave dal quale dobbiamo assolutamente uscire in Italia è il prezzo indifferenziato del caffè al bar. Il bar deve diventare una caffeteca, un luogo dove il consumatore può scegliersi il caffè che gli viene presentato e può pagarlo 1,50 euro, 2 euro, fino ad arrivare a 10-15 euro, ovviamente con diversi metodi di estrazione.

Caffè e vino al bar, come vanno affrontati?
Il bar oggi in Italia non si sostiene vendendo solo caffè. Un modello che il gestore del bar deve assolutamente evolvere è quello di una maggiore offerta e consapevolezza nel mondo vino, che fa parte del fatturato soprattutto per quei bar che aprono anche per l’aperitivo e la sera. Facendo poi questo parallelismo sul vino il barista deve iniziare a pensare al caffè come al vino, sia in termini di offerta, sia in termini di storytelling, sia di consapevolezza di quanto lui può cambiare i flavori in tazza agendo sulle ricette di preparazione e sul fatto che ci deve essere una differenziazione di prezzo.

Come si alza il prezzo della tazzullella?
Il barista non deve più essere così timido da non poter avere in menù un caffè anche a 5 euro: se lo storytelling lo consente, se è stato preparato con consapevolezza e professionalità, se la qualità del caffè è ovviamente straordinaria. Il caffè ha tante similitudini con il vino e declinato in una carta dei caffè offre le medesime opzioni di flavore delle etichette di vino. Io ho fatto il calcolo che, prendendo 6 Paesi di origini diversi, scegliendo per ognuno due caffè preparati con due tostature diverse, moltiplicando i metodi di estrazione che potrebbe essere 7 e per ciascuno lavorando con un paio di acque (una più minerale e una più neutra) e con due temperature diverse, in un bar potenzialmente si potrebbe offrire una carta di caffè con 600 opzioni di bevuta diverse.

Batti questa, sommelier.

TAG: ANDREJ GODINA,INTERVISTE

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