caffè
09 Maggio 2013
Dal Giappone la conferma che la manutenzione e la pulizia quotidiana delle attrezzature sono riti che dimostrano rispetto per il lavoro e per la filiera
La mia settimana in Giappone è giunta al termine, i miei allievi stanno facendo l’esame da assaggiatori di caffè. Qui agli esami si usa la matita, non la penna. Da noi quest’ultima è una necessità, il baluardo di una finta meritocrazia: si scrive con la penna affinché nessuno possa successivamente intervenire sull’esame senza lasciare traccia. Qui la matita è più che sufficiente: nessun allievo o docente si sognerebbe mai di alterare l’esame una volta concluso e consegnato. Si chiama lealtà.
Nell’aula regna un grande silenzio, si sente solo Chihiro Yokoyama che lava la macchina espresso, provata da una giornata di assaggi. Sin da quando sono sbarcato in Giappone otto anni fa, per me Chihiro, prontamente italianizzato in Ciro dagli amici, è stato il sensei, il maestro. Ha una passione viscerale per il caffè italiano che unisce a una competenza tecnica non comune, cosa che gli permette di rientrare a pieno titolo tra i guru del caffè in Giappone (ma se glielo dite lui nega tutto, proverbiale modestia asiatica).
Mi ricordo che, tornato a casa dal mio primo viaggio in Giappone, a chi mi chiedeva cosa mi avesse colpito in modo speciale, rispondevo: l’eleganza. Una caratteristica che a me è sempre parsa essere innata nei giapponesi, anche quando si dedicano alle mansioni più manuali come pulire una macchina espresso. Sebbene la giornata sia stata davvero lunga e impegnativa, i gesti di Chihiro si mantengono infatti misurati e precisi. Nulla è lasciato al caso: la spugna scivola nei punti giusti, le varie parti della macchina sono smontate e rimontate senza rumore, l’acciaio lucidato con devozione.
Nessuna improvvisazione
Chi non conosce i giapponesi riconduce questa attenzione per i dettagli a una cura maniacale e meccanica di inezie. E sbaglia. Lo svolgere quotidianamente la pulizia e la manutenzione delle proprie attrezzature è un rito che dimostra rispetto per il lavoro che ti dà da vivere, quindi in primo luogo per te stesso. E significa rispetto anche per la filiera: per il cliente a cui prepari il caffè, per il torrefattore che ha tostato quel caffè, per il coltivatore che l’ha raccolto, per gli ingegneri che hanno studiato la macchina e il macinadosatore che usi tutti i giorni.
Eppure non si tratta solo di deferenza asiatica, ma anche di ritualità che sostiene la qualità. E’ la via migliore per ridurre gli errori: infatti, poiché nulla è improvvisato ma tutto pianificato, la possibilità di sbagliare si riduce enormemente. La battuta dal macinino è precisa e sicura, la pressione sulla polvere nel filtro sempre la stessa e sempre a livello, l’estrazione ripete se stessa caffè dopo caffè.
Per qualcuno ritualità fa rima con noia. Per me invece con professionalità e qualità.
L’autore è Consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e Amministratore del Centro Studi Assaggiatori
www.assagg
iatoricaffe.org
Chi fosse interessato a contattare l’autore può farlo scrivendo a: carlo.odello@assaggiatori.com
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