food

16 Gennaio 2020

Dal Sudafrica la cucina arcobaleno

di Fabio Verona


Dal Sudafrica la cucina arcobaleno

La chiamano nazione arcobaleno, o Rainbow nation, e arcobaleno è anche la sua cucina; piena di colori e di influenze, visto che tanti popoli sono passati da qui. Una cucina, quella sudafricana, che ha una particolarità dovuta alle temperature quasi sempre miti, a parte la zona degli altipiani, e che quindi si fa e si consuma spesso all’aperto. Naturalmente con Barbecue (chiamati Braai) inevitabilmente accompagnato dalla salsa Chakalaka, condimento molto semplice e facile da realizzare nato dalle township (immensi quartieri o intere città riservate ai non bianchi ai tempi dell’apartheid) realizzato con diversi ingredienti, con i più comuni che sono i fagioli, il curry, i peperoni e le carote. Un altro piatto molto famoso “all’aperto” prende il nome dalla pentola a tre piedi utilizzata nella tradizionale cucina sudafricana conosciuta come Potjie, il Potjiekos. In Afrikaans vuol dire più o meno “piccolo piatto di cibo” e si tratta di uno stufato cotto lentamente sul fuoco vivo nella Potjie, che, oltre alla carne, presenta tante verdure come carote, cavoli, zucca, cavolfiori, insaporite con spezie di origine malese o indonesiano, come molti piatti tipici del paese, e da un amido, come patate o riso.

UNA SORTA DI STREET FOOD
La carne utilizzata può essere di qualunque tipo; agnello, manzo o maiale, che viene marinata con spezie e una bevanda alcolica, solitamente birra o sherry o vino da dessert. Piatto che nasce dai coloni olandesi durante la grande migrazione chiamata Groot Trek con cui lasciarono le coste del Sud per addentrarsi nell’interno del paese, dove avrebbero fondato la Repubblica Sudafricana (Transvaal) e quella dell’Orange Free State. Un altro piatto a base di carne famosissimo nel paese che fu di Nelson Mandela è il Bobotie di manzo, ricetta anch’essa nata dall’influenza olandese-indonesiana, che viene preparata con carne trita cotta al forno con una crema a base di uova e con l’aggiunta di foglie di alloro, uva passa e frutta secca. Il tutto spolverato da un mix di spezie, non piccanti, dove naturalmente non può mancare il curry. Cibo da cucinare o da consumare all’aperto (ora si chiamerebbe Street Food…) che, come detto, è una costante nel panorama culinario sudafricano. Come il Pap, una specie di porridge a base principalmente di farina di mais, alimento base delle tribù Bantu del Sudafrica diventato poi un accompagnamento per i Barbecue o degli altri piatti del paese, venendo consumato sia con la tipica densità della polenta (chiamato anche Slap pap) o passato alla griglia o in padella, ovvero croccante (Phutu pap). Di origine Bantu questa ricetta prese il nome però da una parola afrikaans, pap appunto, che significa “porridge”. All’aperto non possono mancare gli insaccati, tra cui certamente il più conosciuto è il Biltong, carne essiccata diffusa in tutto il Cono sud africano molto proteica, ma che si trova anche in altri paesi di impronta britannica come Canada, Usa, Australia, o Nuova Zelanda con il nome Jerky Beef. Un prodotto simile lo si trova anche in Italia, a Roma, e prende il nome di Coppiette e pure in un altro paese africano ma a Nord dell’Equatore, l’Etiopia, dove prende il nome di Qwant’a e viene aromatizzato con pepe nero, berberé o awaze. Il Biltong è fatto tipicamente con il manzo (per le coppiette si usa anche il maiale ad esempio o in Australia si usa il canguro), ma si utilizzano anche altre carni come quella di struzzo o di diversi tipi di selvaggina; dall’impala all’orice, dall’eland allo springbok, le tipiche gazzelle sudafricane. Infine, ma in questo caso prende il nome di Bokkoms, sì può utilizzare anche il pesce. Per essiccare queste carni si utilizzano sale, pepe, zucchero ma anche aceto di mele, coriandolo e, spesso si aggiunge anche nitrato di potassio, aglio, cipolla o salse come la Worcester. Nei barbecue sudafricani non può infine venire a mancare il Boerewors, salsiccia a forma di spirale fatta con carni speziate, anch’essa presente in altri paesi del Commowealth, e che prende il nome dall’olandese boer, ovvero “contadino”, i boeri che hanno colonizzato il paese, e dall’afrikaans wors (salsiccia).

QUANDO L’ISPIRAZIONE ARRIVA DALL’ESTERO
E se si parla di cibo da strada, pronto da mangiare, ecco una sfilza da piatti da non perdere della cucina sudafricana di chiara ispirazione di altro gastronomie. A partire da The Gatsby, versione sudafricana del classico panino americano Hoagie, tipico della regione di Cape Town. Questo panino viene fatto imbottendo un pane lungo tipo baguette di ogni ben di Dio, dalle patatine fritte alla carne speziata, dal pollo ai wurstel, dal pesce come i calamari, ai salumi o quant’altro. Anche questo street food povero proviene dai ghetti neri, i Cape Flats, situati nella pianura fuori Cape Town, dove i locali riempivano le baguette con quello che avevano e le dividevano in quattro parti. Di chiara ispirazione americana i Boerie Rolls, ovvero gli hot dog locali, per i quali però viene utilizzata la tipica salsiccia di qui di cui abbiamo appena scritto sopra, la Boerewors, guarnita con ketchup, pomodori, peperoncino e cipolle. Lo spirito britannico sopravvive invece nel Fish and chips locale, a base di merluzzo o haddock atlantico, mentre un’altra importante colonia dell’impero, ovvero l’India, ha portato qui tante influenze culinarie attraverso le importanti ondate migratorie degli dell’800 che hanno creato una ampia comunità indiana, soprattutto nella regione di Durban. E che ha importato i Samosa (o Sambusa), i famosi triangoli di pasta sfoglia, fritta o cotta al forno, con ripieno piccante fatto di una varietà di ingredienti come patate speziate, piselli, cipolle, aglio, lenticchie, carne macinata, soia, pinoli, e quant’altro, o i Bunny Chow, conosciuti anche come Kota (quartiere) in altre regioni dell’Africa. Si tratta di un panetto confezionato di cui se ne taglia una quarta parte, lo si svuota della mollica per poi riempirlo di un curry piccante che può essere sia a base di carne che vegetariano. Ma a Durban, oltre alla cucina indiana, per la quale non possiamo non citare anche il pollo al curry locale, si può provare anche la cucina Zulu, con piatti come una trippa di intestini di vari animali servita con il pap o con gnocchetti caldi (Mogodu), le Patate Zulu (Amadumbe, o Taro in altre parti del mondo), le Zampe di pollo bollite (walkie-talkie-talkie) o le bistecche di coccodrillo alla griglia. Parlando di bistecche “inusuali”, in Sudafrica si trovano anche quelle degli onnipresenti calamari, servite con diverse salse, tra cui quella piccante Peri-peri, il burro all’aglio sciolto, la blatjang di albicocche, un chutney perfetto anche con i formaggi, o la “leggendaria” Monkey Gland, che si narrava fosse fatta con le ghiandole delle scimmie, seguendo la (strampalata) teoria dell’eterna giovinezza di Serge Voronoff, ma che invece, più prosaicamente, è fatta con cipolla tritata, aglio e zenzero, e una combinazione di, salsa di soia, senape, salsa Worcester, ketchup e vino.

IL VINO SUDAFRICANO
Proprio il vino è un’altra delle eccellenze dell’enogastronomia sudafricana grazie all’ottima orografia del suo territorio. Risalente al 1659, quando venne prodotta la prima bottiglia di vino a Città del Capo da Jan van Riebeeck, la viticoltura sudafricana ha fatto negli anni passi da gigante, concentrata soprattutto attorno al Capo, con i vigneti di Constantia, Paarl, Stellenbosch e Worcester, che hanno dato vita a oltre 60 denominazioni di origine controllata. Se all’inizio si puntò a vitigni di alta resa come il Cinsaut, dopo l’inizio del 1900, quando più di 80 milioni di vigneti diedero vita a una sovra-produzione che portarono i viticultori a sversare vino nei fiumi e nei torrenti, si iniziò negli anni ’20 a puntare anche sulla qualità con la nascita della cooperativa KWV. Ricerca della qualità che ebbe un brusco stop durante l’apartheid con il conseguente boicottaggio dei prodotti sudafricani in tutto il mondo. Negli anni ’90, abbattuto l’apartheid, la rinascita con una politica volta all’esportazione di vini ben conosciuti in tutto il mondo, come lo Shiraz, il Cabernet Sauvignon e lo Chardonnay, anche se degni di nota sono vini più tipicamente locali come lo Chenin Blanc o una sorta di Porto chiamato Cape port. Vino da dessert, da bere con la Melktert, la crostata di latte in afrikaans, il Malva Pudding, un budino con marmellata di albicocche, o le Koeksisters, le tipiche frittelle sudafricane a forma di treccia aromatizzate alla cannella che si gustano intingendole nel miele o in uno sciroppo fatto di acqua, zucchero e cremor tartaro. Goeie eetlus a tutti quindi, ricordando che tanti altri colori, e ricette, sono lì da scoprire in un paese grande oltre quattro volte l’Italia e con una storia, terribile certo, ma che ha dato vita a un eccezionale melting polt. Anche in cucina.

[caption id="attachment_170121" align="aligncenter" width="600"] Il cibo da cucinare o da consumare all’aperto è una costante nel panorama culinario sudafricano.[/caption]

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