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29 Settembre 2025

Innovazione e territorialità: la cucina sarda esce allo scoperto

di Matteo Cioffi


Innovazione e territorialità: la cucina sarda esce allo scoperto


La Sardegna in cucina merita più considerazione. Richiesta più che lecita per una terra che vanta una biodiversità alimentare invidiabile e di elevata eccellenza. Essenza: il cibo è anima identitaria di quest’isola, ne forgia la cultura e la tradizione, riflette l’anima pastorale e marinara del territorio, oltre ad avere assorbito nei secoli differenti influenze, da quella araba e nuragica, fino alla contaminazione catalana. Radici di un passato lontano e più vicino.

Il premio Nobel letterario, Grazia Deledda, nei suoi romanzi attribuiva al cibo sardo un ruolo di primo piano, lo elevava a protagonista della narrazione. Dai libri alla realtà, raro imbattersi in un visitatore dell’isola che non sia rimasto ammaliato dalla gastronomia di questa terra. Eppure, né la storica scrittrice, né il turismo diffuso, hanno permesso alla cucina sarda di conquistare un ruolo ai vertici della piramide culinaria italiana. Stando all’ultima classifica annuale dei TasteAtalas Awards, relativa al ranking delle destinazioni al mondo dove mangiare meglio, la Sardegna si colloca ‘solo’ al 29 esimo posto. Una performance abbastanza lusinghiera, ma ridimensionata a livello nazionale, se si considera che, in questa classifica, otto regioni italiane precedono quella sarda. 

QUALE SARA' IL FUTURO DELLA CUCINA SARDA

Ed è proprio su questo aspetto, per certi versi anomalo e quasi incomprensibile, che la quarta edizione del Festival della Bottarga, andata in scena dallo scorso 19 al 21 settembre nella piccola località di Cabras, nell’Oristanese, ha focalizzato parte dei suoi interventi, accogliendo sul palco una selezione di chef dell’isola. Mixerplanet era presente alla manifestazione e ne ha raccolto in esclusiva le opinioni di alcuni ospiti della manifestazione. La prima impressione emersa è che la situazione della cucina sarda sia in una profonda fase di cambiamento. In meglio, grazie a una concreta e decisa riscoperta dei tesori alimentari del territorio, non solo quelli noti al grande pubblico, a cui si aggiunge un diverso approccio al piatto, per ridurre complessità e incrementare rotondità, nonché trasmettere una forte ed esclusiva impronta ‘autoctona’.

«Stiamo assistendo a una rinascita della cucina sarda trainata da sapori, profumi ed emozioni che si rifanno alle antiche tradizioni culinarie della nostra terra, che per lunghi anni sono state quasi tenute nascoste – ha riconosciuto Salvatore Camedda, chef del ristorante Ulìas al Cascioni Eco Retreat di Arzachena –. I tempi sono ora cambiati. Il settore della ristorazione locale sta valorizzando concetti quali semplicità e riconoscibilità degli ingredienti, perché la gente vuole sapere cosa davvero mangia. In questo nuovo scenario, le ricette internazionali, dove le materie prime sarde sono spesso escluse, stanno lasciando spazio a preparazioni che traggono la loro assoluta essenza dal territorio nostrano».

Parla di innovazione Salvatore Ticca, da inizio anno al timone del Ristorantino Shardana a Nuoro, dopo un’esperienza lavorativa a Parigi. «La cucina della nostra isola ha finalmente abbracciato tecniche culinarie all’avanguardia, sviluppando percorsi organolettici moderni – afferma lo chef del locale situato all’interno dell’Hotel Sandalia –. Il tutto mettendo alla base di ogni ricetta le materie prime locali e di stagione. Rimanere rigidamente ancorati alla tradizione, quella per intenderci del porceddu e del malloreddus, e senza aprirsi al nuovo, può continuare ad andare bene per alcuni format, come nel caso dell’agriturismo, ma per una ristorazione che ambisce ad avere un respiro più ampio è necessario staccarsi e sperimentare percorsi organolettici mai studiati prima. Molti giovani chef questa necessità, per fortuna, l’hanno avvertita e sposata. Sono loro il motore del cambiamento, affiancati da coloro che hanno già una lunga esperienza e che hanno deciso di guardare oltre».

LA NUOVELLE VAGUE SARDA

Si tira in ballo quindi una nouvelle vague culinaria. Tra i suoi componenti c’è sicuramente Roberto Paddeu, 34 anni, chef talentuoso che dirige le operazioni nel ristorante di famiglia Frades, il quale, dopo avere aperto a Porto Cervo, ha bissato la sua presenza a Milano. «Per tanti anni molti esponenti dalla nostra cucina regionale si sono dimostrati restii a (es)portare le prelibatezze e le ricette locali al di fuori dell’isola. Quasi fossero gelosi del proprio patrimonio gastronomico. Oggi, invece, c’è maggiore consapevolezza sulla reale necessità di fare conoscere la cucina sarda un po’ ovunque in Italia e nel mondo. Per questo sarebbe opportuno che le realtà ristorative comincino seriamente a investire anche in comunicazione e marketing. Noi di Frades abbiamo sposato con entusiasmo questo cambiamento, abbandonando lo stile gourmet adottato inizialmente per proiettarci e recuperare le autentiche radici del gusto della Sardegna. I piatti sono stati dunque alleggeriti, resi più semplici, senza mai mettere in secondo piano la loro anima sarda, a nostro parere sinonimo di qualità».

E per garantire che ciò avvenga, appare evidente instaurare rapporti di fiducia ed esclusivi con fornitori locali, con i quali collaborare per dare una nuova svolta all’offerta culinaria sarda. «È fondamentale ragionare in termini di filiera», conferma Simona Balia, che a soli 30 anni è già a capo, con suo marito, del ristorante Raices a Sant’Antioco, l’isola a Sud della Sardegna dove la giovane cuoca è nata.  «In quest’ottica, bisogna creare rapporti solidi con i piccoli produttori della zona e, in generale, con il mondo agricolo del nostro territorio. L’obiettivo che ci siamo prefissi con il progetto Raices è, quindi, portare in ogni piatto il sapore intrinseco della Sardegna. Appartengo a quella schiera di chef della mia regione che perseguono la missione di dare vita a nuove ricette locali, con l’’intento di farle diventare tipicità».

Parole che spingono a rinnovare, senza però mancare di rispetto al passato. «I piatti storici sono stati e rappresentano ancora un vanto regionale – assicura Balia –, ma è giunto il momento di ampliare e scovare ulteriori sentieri del gusto, giocando con i sapori, i loro contrasti e scardinando alcune regole della ristorazione classica, come invertire, per esempio, l’ordine delle portate. Io, a tale proposito, cucino una crème brûlé con della bottarga e la servo al tavolo come antipasto e non come dessert, giocando sul mix dolce e salato. I commensali reagiscono inizialmente con stupore, ma poi apprezzano. Insomma, la logica è stupire e conquistare con la novità che non sia fine a sé stessa. La Sardegna ha le carte in regola per essere portabandiera di nuove tendenze culinarie. E poi, diciamola tutta, non di rado capita che la mitica seadas sia preparata e fritta in altre regioni italiane e poi, congelata, viene spedita da noi. In questo caso, di sardo c’è ben poco». 

TAG: FESTIVAL DELLA BOTTARGA

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