06 Dicembre 2014
Chi beve birra campa cent’anni. Sarà per questo che i locali birrari in Italia tengono botta malgrado la crisi che attanaglia il settore fuori casa che ha portato, secondo il Centro Studi Fipe, nel 2013 a un saldo tra aperture e cessazioni passivo di circa 9.000 unità. In passato l’American bar aveva dato “filo da torcere” al pub e per diverso tempo la movida si era concentrata per lo più all’interno dei locali fashion. Gli stessi imprenditori sceglievano di investire in questo settore e per anni sono nati come funghi trendy bar dove l’elemento centrale era il fashion, la moda, l’arredamento impattante… insomma l’estetica più che l’antica arte dell’accoglienza. Non importava se il cocktail fosse annacquato o troppo alcolico, se il food di pessima qualità e il servizio lasciato nelle mani di addetti inesperti o privi di ogni qual si voglia preparazione in questo campo. Nel 2008 è arrivata la crisi: gli italiani hanno centellinato le uscite facendo maggiore selezione dei locali da scegliere per trascorrere le proprie serate. Nel frattempo i pub hanno cominciato una piccola grande rivoluzione per contrastare il ‘nemico’: si sono specializzati nell’arte brassicola. In che modo? Reclutando personale preparato e competente ma, soprattutto rivedendo gli assortimenti grazie a una gamma più ampia e all’introduzione delle ‘speciali’, birre tanto amate dai consumatori e che hanno contribuito a rilanciare il settore birrario nel fuori casa. Parliamo di birre ad alta fermentazione (oltre 12,5 gradi Plato), blanche, weiss, lambic alla frutta. A fare da contorno a tutto ciò, l’introduzione nei pub del food: non più solo patatine fritte e poco altro, ma un’offerta varia, di qualità e studiata ad hoc per ‘sposarsi’ con birre di alto livello. Dimenticato così il pub tipico anglosassone o la brauhaus tedesca nei quali il prodotto birra alla spina era al centro dell’attenzione (e del fatturato), ecco il boom di birrerie nelle quali prevale la componente assortimentosia beverage che food: locali ribattezzati con il termine “newpub”. Del resto oggi la ‘’bionda’’ secondo l’ultimo report Istat (aprile 2014) si è ritagliata uno spazio significativo tra il vino e i super alcolici: il 45,3 % della popolazione consumatrice di alcolici preferisce la birra. A ordinare più pinte, gli uomini tra i 22 e 65 anni, ma chi vuol gustare una birra, oggi, opta sempre più spesso per i prodotti di qualità artigianale del Made in Italy. E il trend è in continuo aumento. Se da un lato infatti i consumi di birra stanno reggendo di fronte alla crisi, dall’altro in Italia – esattamente come è già accaduto in UK - si è assistito in pochi anni all’emergere di un’inarrestabile «nouvelle vague » della birra artigianale. In termini di volume, si tratta di una nicchia: poco più del 2% dei 17,2 milioni di ettolitri consumati in un anno. Ma l’originalità e la qualità di questa produzione ha dato una spinta in più alla crescita dei pub.
L’incredibile boom del segmento della birra artigianale in Italia è un fenomeno affascinante. Solo pochi anni fa i microbirrifici non arrivavano a 50 e oggi sono quasi 400. In un contesto di mercato più che favorevole, sono le birre artigianali di ultima generazione ad avere le migliori potenzialità di crescita. Merito dei tanti festival organizzati per promuoverle, del forte interesse mediatico, ma soprattutto dei consumatori che dimostrano di preferire la qualità alla quantità, anche quando bevono birra. Un’idea alternativa, che sta prendendo piede nelle nuove aperture e che promette un buon guadagno, è quella di aprire un beer bar. Al momento, in tutta Italia, i beer bar che vendono esclusivamente birra artigianale non sono nemmeno 200 e si trovano in prevalenza al Nord e a Roma, dove sono anche meta di moltissimi turisti. «I beer bar si caratterizzano per l’ampia gamma di birre in vendita, tutte rigorosamente artigianali: anche 40-50 spine nei locali più grandi, di cui alcune a rotazione per avere un po’ di tutto tra dolci, amare, di vari stili, italiane e straniere, e una carta di 200-300 birre in bottiglia, da bere sul posto e/o da asporto» commenta Teo Musso, produttore della birra artigianale Baladin e proprietario della catena di pub Baladin diffuse nelle maggiori città italiane.
Con il suo mix di aromi e sapori, la “bionda” artigianale ha conquistato i palati più raffinati. Il procedimento naturale non prevede la pastorizzazione, la filtrazione e l’aggiunta di conservanti. I “microbirrifici” sono perlopiù piccole imprese artigiane che si differenziano dai “giganti” dell’industria soddisfacendo una domanda (in crescita) più attenta alla qualità e genuinità . Per le differenze di consumo tra birra industriale e artigianale, secondo una ricerca di Matteo Bonfanti, presidente di Unionbirrai, un buon 40% si dice esclusivamente legato a consumi industriali, un 35% afferma di consumare dal 60 al 100% di birra artigianale, mentre la restante parte si pone nel mezzo, consumandole entrambe. Per il futuro si pensa addirittura che si possa arrivare a una situazione di equilibrio del 50% dei consumi tra birra industriale e artigianale.
Accise, il nemico all’orizzonte
L’amata “bionda” sta diventando più cara a causa dell’aumento delle accise sulla birra. Le imposte si sono fatte già sentire a ottobre 2013 e gennaio 2014; la prossima è prevista per gennaio 2015. Assobirra, l’associazione dei produttori italiani, ha fatto notare che se già oggi un sorso di birra su tre se lo beve lo Stato attraverso le tasse, con i nuovi aumenti il fisco si sta bevendo un sorso su due. La tassazione della birra Italia è fra le più alte in Europa. In Germania, ad esempio, l’accisa sulla birra è pari a 9,4 euro per ettolitro, in Spagna a 9,9 euro: meno di un terzo dell’accisa italiana attuale e un quarto di quella prevista da inizio 2015.
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