mixology
03 Novembre 2025
Dopo il debutto fiorentino dello scorso aprile, quando la prima edizione del Reverso Martini premiò la visione e il talento di Nicolas Di Maria di Move On, il contest è approdato a Venezia per la sua seconda tappa, sempre sotto il cappello di Paola Mencarelli e del circuito Italian Cocktail Week. Stavolta Nicolas non era dietro il bancone, ma dall’altra parte, in giuria, a osservare i colleghi affrontare la stessa sfida che pochi mesi fa lo aveva incoronato campione.
L'OLIVA AL CENTRO DELLA SCENA
La seconda edizione del Reverso Martini ha segnato un ulteriore salto di qualità dentro la Venice Cocktail Week, con la sua sfida dal sapore rivoluzionario: ribaltare il Martini e portare finalmente l’oliva al centro della scena. La missione è chiara: valorizzare l’oliva Taggiasca del Frantoio Sant’Agata d’Oneglia, storica realtà ligure che affianca il progetto fin dalla sua nascita, come ingrediente nobile nella miscelazione contemporanea. Un modo per trasformare un simbolo della gastronomia italiana in elemento fondante del cocktail e far dialogare cultura olearia e tecnica di bar.
Nato da un’idea di Federico Bellanca e sotto il marchio Gintastico, il format mira a trasformare l’oliva in un linguaggio tecnico e sensoriale condiviso. A Venezia, Giacomo Iacobellis ha preso il testimone di Bellanca, conducendo la gara con tono brillante e professionale. L’impostazione tecnica voluta dal format – bilanciamento, creatività, presentazione, ma soprattutto peso aromatico e funzionale dell’oliva nel drink – ha costretto i bartender a non rifugiarsi nella ricetta classica. La Taggiasca è ricca di materia grassa e composti fenolici, capaci di plasmare la texture e modificare la percezione gustativa degli spirits. Farla dialogare con gin e vermouth richiede metodo, sensibilità e controllo.
In questo scenario, la gara si è trasformata in un piccolo laboratorio italiano della olive mixology. Giovanni Vernia (Terrazza Gellius, Treviso) ha esplorato la coerenza gastronomica del Martini con un fat washing all’olio d’oliva e un gin strutturato che dialoga con note amare e vegetali. Il suo approccio, quasi culinario, è culminato in un pairing tecnico con pasta cotta in brodo d’oliva, dimostrazione sensoriale di come l’amaro e la grassezza possano educare la salivazione e preparare il palato a un sorso più secco e nitido. Francesca Pilotti ha scelto la via della bevibilità, lavorando su un’infusione di olive Taggiasche nel gin Etna e su un tocco di sciroppo al pompelmo e basilico che ammorbidisce la struttura senza alterare la secchezza del Martini. Shakerato per integrare la parte agrumata e gommosa, il drink trova equilibrio in una crusta di olive essiccate e in una goccia d’olio EVO che ne amplifica la sapidità mediterranea. Fabrizio Colamaria (Robe da Matti, San Servoli) è entrato nel terreno dei composti glutammati naturali, sfruttando pomodoro e pane tostato per aumentare l’umami nel drink e proporre una lettura emozionale e insieme tecnico-sensoriale della Taggiasca. Chiara Petroni (Romeo Cocktail Bar, Verona) invece, ha difeso la struttura del Martini classico con una lettura dry e rigorosa: doppia distillazione del gin per mantenere la verticalità, Lugana al posto del vermouth per bilanciare aromaticità e secchezza, distillato d’oliva e guarnizioni testurali tra crunch e gommose saline per approfondire il dialogo sensoriale.
In pedana si respirava concentrazione vera: domande incrociate della giuria sui processi ossidativi, sugli oli essenziali che migrano in distillato durante il fat-wash, sul ruolo della salamoia come spinta salina e vettore aromatico. È proprio lì che si vede quando un bartender conosce fino in fondo il perché di quello che fa.
IL DRINK DI ELISA FAVARON: LA DIFFERENZA SI CHIAMA BRAND KNOWLEDGE
In questa competition qualcuno ha fatto quello che troppo spesso manca: studio vero del brand. Non un ripasso di facciata, non due pagine sfogliate al volo. La vincitrice della seconda edizione di Reverso Martini, Elisa Favaron (Bar Manager e co-owner di CuCù, Bassano del Grappa), è scesa in profondità come una ricercatrice laboratoriale: ha indagato la filiera, le tecniche, i perché produttivi dell’oliva Taggiasca e dell’olio. Si è immersa nel lessico del frantoio, nelle fasi della spremitura a freddo, fino a scegliere come perno narrativo la gramolatura, il momento più delicato del processo, quello che consente di preservare gli aromi e la struttura dell’olio.
È la ragione per cui il suo drink si chiama Gram Martini. E qui sta il punto: non ha portato in pedana un Martini con un’idea, ha portato un’idea che si è fatta Martini. Questa ricerca non è accademia fine a sé stessa. È diventata scelte tecniche coerenti: macerazioni controllate per evitare ossidazioni indesiderate, oil-washing calibrato con l’Evo del frantoio per spingere la sensazione tattile senza appesantire la bevuta, un cordiale ottenuto dal recupero intelligente dello sciroppo delle olive Taggiasche candite, acidificato con criterio per valorizzare il carattere dell’oliva senza rifugiarsi nel solito limone o lime. È la differenza tra citare un marchio e parlare la sua lingua. C’è un secondo strato, fondamentale quanto il primo: la personalità. Elisa porta in gara quello che è il suo modo di lavorare al CuCù di Bassano. Il suo bar è un posto in cui a fine bevuta ci si saluta con un abbraccio, un gesto semplice che diventa manifesto di ospitalità. In pedana succede lo stesso: il racconto non è decorazione, è relazione. Il Gram Martini non vuole impressionare con virtuosismi, vuole accogliere. La texture è levigata, la progressione aromatica parla Mediterraneo con finezza, il finale pulito invita naturalmente al secondo sorso. E anche il pairing dolce, un piccolo sablé all’oliva essiccata con chantilly, non è una trovata accessoria ma un ponte che prolunga e completa la narrazione. La giuria ha parlato con chiarezza: tecnica, emozione e storytelling qui sono una cosa sola. È un Martini che vive nel bicchiere e nello stesso tempo abbraccia chi lo beve. Un manifesto di brand knowledge trasformato in ospitalità da bersi.
A fine gara, il format ha proseguito al Tarnowska’s American Bar con un pop up dedicato agli EVOO cocktails, a cura di chi questa sfida l’aveva vinta un anno fa: Nicolas Di Maria. Il Reverso Martini conferma così il proprio ruolo: non un semplice contest, ma un modo diverso di guardare al Martini. Con la consapevolezza che l’oliva, quando è trattata con rispetto, può passare dall’essere accessorio a diventare il senso di tutto.
Federica Bucci
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