pubblici esercizi
19 Febbraio 2018
Il cambiamento nel vino è costante. Lo dicono le annate e lo dice il mercato, da anni realmente globale, dapprima sotto il profilo dei consumi, ma, sempre di più, anche da un punto di vista produttivo. Oltre a Italia, Francia, Germania e Spagna molti altri territori europei sono cresciuti, senza dimenticare che in pochi decenni quelle aree che venivano considerate come il “nuovo mondo enologico”, ad esempio Napa Valley o Nuova Zelanda, sono ormai realtà consolidate ed affermate. Il rinnovamento dei luoghi di produzione, rispetto alla latitudine, viene in gran parte riscritto dai cambiamenti climatici. Che faccia sempre più caldo se ne accorgono tutti, senza per altro aver bisogno di consultare le app meteo dei telefoni cellulari.
BOLLICINE INGLESI
Se ne sono accorti anche i produttori di vino. Negli ultimi anni sono nate aziende produttrici, ad esempio, nel sud dell’Inghilterra. I giardini all’inglese del Sussex e del Kent iniziano ad essere sostituiti da vigne di Chardonnay. Non si stratta solo di sperimentazioni, visto che, ad esempio, il marchio di champagne Taittinger, ha deciso di produrre qui circa 30.000 bottiglie di bollicine. Non si tratta tuttavia di una volontà isolata, tanto che la superficie vitata inglese dal 2002 sino ad alcuni anni fa, sia cresciuta addirittura di quasi il 150%. L’esempio inglese non è un’eccezione, tanto che si produce vino in Cina, con leggero calo produttivo negli ultimi anni anche se con evidenti miglioramenti da un punto di vista qualitativo, ma lo si realizza anche in altri continenti, penso ad esempio all’Africa. Facendo un passo indietro e parlando di consumi, in questo continente vediamo che il numero di bottiglie vendute complessivamente – cifra scremata rispetto agli stati di fede musulmana e a quelle realtà a forte presenza occidentale che quindi da tempo consumano abitualmente vino – si arricchisce di nuove realtà nazionali.
IL SUCCESSO DELL’ANGOLA
Alcuni nomi? Nigeria (discreta presenza di champagne, mentre la parte del leone la fanno i vini australiani) e altri paesi sempre affacciati sul golfo di Guinea, rivoluzioni o conflitti permettendo, ma anche Angola e Mozambico. Se tuttavia il Mozambico scala le classifiche dei consumi, in particolar modo dei vini portoghesi visto che la nazione lusitana era qui potenza coloniale, la crescita angolana si muove sul doppio binario di consumi e produzione. Avendo ceduto i diritti di sfruttamento di parte delle proprie risorse minerarie alla Cina in cambio di infrastrutture, l’Angola ha visto migliorare il tenore di vita di parte della sua popolazione che perciò ha cominciato a bere vino, tanto da spingere qualche imprenditore a pensare di produrlo in loco. L’India rimane invece per molti aspetti un mercato contraddittorio, oltre che un’area produttiva molto incerta. Tasse e accise molto elevate frenano le importazioni, mentre la produzione è poco indirizzata alla qualità, aspetto non favorito dai cambiamenti climatici, qui in perenne balia del caldo e delle piogge monsoniche, e da una scarsa conoscenza dell’argomento vino che spesso, per il consumatore medio, non va oltre una distinzione elementare tra bianco e rosso e un gusto spesso piuttosto dolce. Speriamo che nei prossimi anni il mercato, potenzialmente molto importante, del continente indiano possa risultare più definito. Nell’attesa spero invece che le aziende nostrane siano più pronte e dinamiche rispetto a tutti questi cambiamenti, anche perché, oramai, fare semplicemente il
vino buono, non basta più.
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo.
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