20 Marzo 2017

L’Italia è il terzo Paese europeo con il maggior numero di ristoranti vegetariani, preceduto solo da Germania e Inghilterra. Abbiamo chiesto ad alcuni di raccontarci la loro esperienza
Mantra, crudista ma non sembra perché è buono “I nostri ravioli? Ripieni di kimchi (verdure fermentate) hanno la sfoglia di ananas e cocco fresco, essiccato al punto giusto. Zucchine e alghe sostituiscono la pasta. La cucina crudista è un’alchimia, uno studio continuo alla ricerca della consistenza e della texture giuste” spiega Marina Dell’Utri, proprietaria di Mantra, ristorante vegano e crudista aperto a inizio 2015 a Milano. Tre sole categorie trattate: frutta, verdura e frutta secca, trasformate dallo chef Alberto Minio Paluello, che ha studiato alla Matthew Kenney Academy di Santa Monica, mecca del crudismo.
“Per prima cosa il cibo deve essere buono, poi anche sano e bello da vedere”. Tanto che “la maggior parte dei clienti è onnivora, sanno che le verdure fanno bene, o hanno voglia di qualcosa di nuovo, vengono da noi come vanno all’etnico. Il cibo è saporito, non ci sono prodotti di origine animale ma nessuno se ne accorge. Abbiamo anche tanti vegetariani, pochi vegani, pochissimi crudisti, una filosofia che in Italia non è ancora molto diffusa, tanto che aprire un ristorante “raw” è stata una vera sfida”. Come comunicate questa specificità? “Volevo un ristorante con un’apertura totale verso gli onnivori, se ci chiedono spieghiamo ma non assilliamo, non cerchiamo di imporre le nostre idee”.
Crepapelle quando lo street food è vegano Dolci alla panna e cioccolato, panzerotti, fritti (polenta e zucca, polpette di fagioli cannellini e porri) e crêpes: da Crepapelle a Firenze il menu guarda allo street food ma in chiave vegana. “Il nostro cibo è gustoso e saporito, non fa sentire la mancanza di formaggi, salumi o carni cui siamo abituati per tradizione” spiega Paola Morandi, proprietaria insieme alla cuoca Sara. Chi viene da voi? “Due anni fa, quando abbiamo aperto, la clientela era rigorosamente vegan e vegetariana, oggi, grazie a facebook e al passa parola, il 30/40% è costituita da onnivori, che ci scelgono perché attenti al benessere, ma anche perché curiosi di provare qualcosa di diverso”. Come scegliete le materie prime? “Frutta e verdura vengono dall’azienda agricola di mio padre, sono quindi controllate e a chilometro zero. Il resto lo compriamo bio, perché questo richiedono i clienti: se all’inizio la proposta era biologica era al 50%, ora è prevalente. L’origine è comunicata, c’è la massima trasparenza sulla provenienza degli ingredienti”.
Il Desco, focus su vegetale, bio e Km zero, senza esclusive Le orecchiette con salsa di zucca gialla e burrata, la ribollita, le zuppe di legumi ma anche la crema di ceci sul roast beef di scottona: Desco Bistrot nel centro di Firenze propone una cucina che vira al vegetale, il più possibile biologica e a km zero (il 90% di ortofrutta e l’olio provengono dall’azienda biologica di famiglia) ma che non elimina la carne. “La maggior parte dell’offerta è sui vegetali” dice Giulia Bargiacchi, che gestisce il locale con il marito Shams - “Una cucina semplice ma golosa, e digeribile un requisito sempre più richiesto dai clienti. Certo, bisogna spiegare al cliente che le verdure hanno tempi di lavorazione maggiori della carne: vanno lavate, tagliate, sono facilmente deperibili. Il biologico ha un costo. Inoltre bisogna saperle cuocere al punto giusto, mantenendo la brillantezza dei colori. Si usano di stagione rispettando i ritmi della natura, come mi hanno insegnato le nonne: vengo da una tradizione contadina che è ricchissima di piatti vegetariani. L’importante è comunicare la qualità, perché i clienti sono sempre più attenti a quello che mangiano”.
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