caffè
04 Aprile 2014
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Edy Bieker[/caption]
Stando alle prime anticipazioni, la puntata del prossimo lunedì della trasmissione di RaiTre Report metterà sotto accusa un intero settore: quello del caffè. Nel sito del programma si legge infatti che l’inviato di Milena Gabbanelli, Bernardo Iovene, insieme agli assaggiatori autorizzati dell’Associazione europea dei caffè speciali SCAE, ha visitato alcuni bar italiani, anche molto noti - tra cui il Gambrinus a Napoli, il Greco a Roma, il Rivoire a Firenze - per valutarne il caffè in tazza. Scoprendo come non sempre l’espresso servito sia all’altezza delle aspettative. Ancora prima della messa in onda della puntata, però, questa conclusione ha sollevato non poche polemiche. E ha spinto un manager di un’importante azienda del settore come Edy Bieker - a.d. con incarico di responsabile della qualità e della formazione della Sandalj Trading Company, azienda leader nel settore dell’importazione di caffè crudo, destinato in particolare al mercato dell’Espresso - ad affidare a un comunicato stampa un’ideale risposta all’inchiesta del programma. «Le mie riflessioni nascono dalla volontà di far luce su alcuni argomenti lungamente dibattuti nei giorni scorsi, a seguito delle anticipazioni pubblicate dalla redazione giornalistica di Report e delle polemiche sorte attorno al nome di Andrej Godina - afferma Bieker, che incalza -: l’Italia è la patria del caffè Espresso. Il caffè è prima di tutto un fenomeno sociale, una bella abitudine, un piacevole momento di pausa che gli Italiani amano concedersi ogni giorno. Forse, proprio perché si tratta di una tradizione, spesso non ne riconosciamo le criticità. Sia all’estero che in Italia, noi operatori del settore ci siamo sentiti dire spesso dai cultori della materia che, nel Bel Paese, il caffè non sempre è di qualità e che il barista non ha una preparazione adeguata. In Italia esiste però una schiera di professionisti del caffè, baristi compresi, che conoscono in profondità il prodotto e hanno acquisito un bagaglio di competenze ed esperienza tale da poter emergere positivamente e da allontanarsi da questa, ahimè, diffusa convinzione. Queste persone, sparse in tutte le regioni d’Italia, lavorano con l’obiettivo di migliorare la qualità del caffè, Espresso e non solo, offerto al consumatore. Fatte queste dovute premesse, vorrei evidenziare anche che la valutazione di un caffè Espresso può comprendere sostanzialmente tre aspetti: il primo è puramente tecnico, il secondo è commerciale mentre il terzo è edonistico, ossia soggettivo e personale. Dal punto di vista tecnico, un assaggiatore deve essere in grado di riconoscere i difetti di un caffè, singola origine o miscela, quindi di comprendere se l’eventuale presenza di problematiche negative sia imputabile alla materia prima trasformata dal primo “cuoco” (il torrefattore), che sceglie le qualità ben conscio del loro valore organolettico e le cucina o se, invece, questa dipenda da un’errata gestione professionale da parte del secondo “cuoco” (il barista), che deve trasformare un prodotto solido come il caffè tostato in una bevanda. Cuochi da sagra paesana - senza nulla togliere a questi ultimi, naturalmente - oppure “Chef” di classe. Solo a questo punto, eliminati gli eventuali difetti, l’assaggiatore andrà a ricercare e a valutare i pregi. Fermo restando che alcune tipologie di caffè esprimono più difetti che valori positivi. Esiste poi una valutazione commerciale del prodotto che prende in considerazione lo specifico mercato nel quale il caffè viene consumato. In questo tipo di riflessione rientra, per esempio, l’aspetto di una tostatura più o meno scura legata a preferenze diffuse in un determinato mercato, settore o regione geografica. Mi viene in mente anche il caso del “caffè alla turca” diffuso nei Paesi balcanici e arabi, preparato con una qualità brasiliana denominata “Rio Minas” i cui sapori predominanti sono lo iodio, l’acido fenico e la muffa. Per quei mercati tale prodotto viene considerato come “il caffè” per eccellenza mentre, in tutto il resto del mondo, il cosiddetto “gusto di Rio” - il cui sapore è dato dalla presenza di tricloroanisolo, derivante da un fungo che nel vino conferisce il cosiddetto sentore di tappo - viene definito quale peggior difetto ritrovabile nei caffè Brasiliani, rendendolo inaccettabile. Infine, chiunque sia di fronte a una tazzina di caffè espresso ha un suo gusto personale, soggettivo e incontestabile in base al quale giudica il caffè con un “mi piace” o un “non mi piace”, indipendentemente da qualsiasi aspetto tecnico. Quest’ultimo è l’aspetto edonistico della valutazione».
E da qui il manager trae le sue conclusioni complessive: «In tutta Italia, Trieste compresa, esistono caffetterie o bar che offrono espressi di scarsa qualità e tecnicamente difettati. La degustazione di questi espressi non avviene in un laboratorio, ma davanti al bancone del bar, laddove per riconoscere le caratteristiche negative di un caffè non credo sia necessario un panel di assaggiatori. Nello specifico ritengo poi che Andrej Godina abbia portato avanti un discorso tecnico, basato sulla conoscenza del prodotto e sulla valutazione dei difetti percepiti a livello visivo, olfattivo nonché gustativo, ritrovati e percepiti nelle tazzine di Espresso ricevute. Indipendentemente se questi siano dovuti al prodotto tostato, a una scorretta conservazione o a un’estrazione errata. Un giudizio, quindi, che non riguarda né l’aspetto commerciale né tantomeno la grande tradizione caffeicola napoletana. Semmai, le critiche potevano essere formulate in modo diverso e mirate agli operatori che non lavorano secondo canoni corretti. Tuttavia, per far riflettere in questo senso, credo sia necessario rimandare il dibattito a un momento più maturo, certamente successivo alla visione dell’inchiesta di Report di lunedì 7 aprile, nella sua interezza. Per il momento resto perplesso di fronte alla presa di distanza di alcuni tecnici e alcune associazioni, notoriamente critiche sull’operato del mondo caffeicolo in Italia. Nulla vieta il dibattito e la contestazione di ciò che è apparso nel video con protagonista Godina. Vero è che se l’intento è quello di crescere, lavorare meglio e offrire un prodotto di qualità, allora è necessario portare avanti le proprie idee con coerenza e divulgare le conoscenze senza ipocrisie».
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