caffè
10 Dicembre 2025E' calato il sipario su Coffee Reload, il forum ideato da Fabio Verona e organizzato da ASA (Associazione Stampa Agroalimentare) che lungo i tre piani del Mercato Centrale di Torino ha fatto da palcoscenico non solo alla finale nazionale del Campionato di Macinatura, ma ha anche riunito istituzioni, imprese, associazioni e protagonisti della filiera per tracciare lo stato dell'arte del settore.
Prezzo del caffè e formazione
A riconoscere che, nonostante le difficoltà, il momento è ricco di opportunità che richiedono una nuova cultura del consumo e della professione, ci ha pensato il talk istituzionale. Paolo Chiavarino, Assessore al Commercio della Città di Torino, ha sottolineato come proprio la città sabauda vanti una densità record in fatto di pubblici esercizi - uno ogni 132 abitanti, contro i 200 della media europea - per un totale di oltre 6.500 locali attivi.
A livello più generale, ha spiegato il Vicedirettore Nazionale FIPE-Confcommercio Luciano Sbraga, se il comparto risulta in affanno il problema non è il prezzo del caffè. I dati, d'altronde, parlano chiaro: 769 bar chiusi dal 2019, solo il 56% delle nuove aperture sopravvive oltre 5 anni, lo scontrino medio è di 4,10 €, 14 sono le ore di apertura al giorno, spesso 7/7. «Il quadro è chiaro: tanta concorrenza, poca marginalità. Il problema pero’ non è il prezzo, ma il valore. Se continuiamo a parlare solo di 10 centesimi in più, distruggiamo valore», ha sttolineato Sbraga ricordando il paradosso europeo con il prezzo medio di vendita di un espresso: Vienna: 4,50 €; Amsterdam: 3,00 €; Barcellona: 2,00 €; Berlino: 2,50 €; Torino: 1,34 €.
Altro tema chiave, la formazione: non si trovano professionisti, perché il bar non è percepito come una carriera. «Dobbiamo trattenere i giovani e far capire che il barista non è un lavoro transitorio, ma una professione con sbocchi veri. Dal canto loro, le torrefazioni devo pensare a un maggiore investimento sulla cultura della qualità, perché se chi usa il caffè non sa valorizzarlo, perde tutta la filiera», ha aggiunto Vincenzo Nasi, presidente EPAT Torino.
La capsula? Più opportunità che minaccia
Nel contesto attuale non poteva mancare un richiamo alla necessità che torrefattori e baristi debbano diventare partner, non clienti. A dirlo è stato Giulio Trombetta, presidente di Costadoro Caffè e alla guida del network Exclusive Brands Torino: «In molti bar negli anni ’90 il consumo medio era di 30 kg/settimana, Oggi pochissimi bar in tutta Torino fanno quei volumi». A incidere, secondo Trombetta, è stata la liberalizzazione selvaggia delle licenze, che ha abbassato la qualità media degli operatori. Per superare questo stato di cose serve allora una nuova alleanza torrefattore–barista. L’obiettivo è uno solo: vendere caffè di qualità con un margine per entrambi. Molto da fare resta anche sulla cultura del caffè: «Andiamo a Londra e troviamo più consapevolezza che in Italia. Il consumatore non sa riconoscere un caffè buono».
Molto attuale anche il tema capsula. Se per il presidente di Costadoro si tratta più di un’opportunità, che di una minaccia, Virna Supin (Tuttocapsule) ha ribaltato il pregiudizio sulla capsula: «La capsula è stata una rivoluzione. Standardizzazione e qualità costante. Il problema non è il sistema, ma il contenuto». E richiama le aziende alla responsabilità su materiali compostabili, chiarezza nelle informazioni sulle confezioni e sostenibilità. Un altro dei temi più caldi discussi è stato il stato il ruolo delle donne nella filiera. «Creano qualità - ha detto Eleonora Pirovano, vicepresidente di IWCA Italia -. Il 70–75% della forza lavoro mondiale nella raccolta del caffè è femminile. La qualità nasce all’origine, e all’origine la donna è protagonista». IWCA lavora sia nei Paesi produttori sia in Italia, formando donne con percorsi difficili e reinserendole nel mondo del caffè.
Infine due battute per quanto riguarda lo Specialty Coffee: non élite, ma valore. «Il caffè è l’unico prodotto ordinato senza specifiche: un vino lo scegli, un gin lo selezioni, un caffè… no», ha sostenuto Alberto Polojac, coordinatore nazionale di SCA Italy. «La macchina farà sempre più il lavoro tecnico. Il barista deve raccontare, non solo estrarre. Paghiamo 3,50 € per acqua zuccherata e ci scandalizziamo per 10 cent in più sul caffè. È pura dissonanza culturale». Ma nulla serve se il caffè non venisse raccontato. «Comunicazione etica ed estetica. Il caffè va letto con naso, occhi, palato. Va raccontato per ciò che è: un’esperienza sensoriale e culturale», ha concluso Saverio Scarpino, presidente di ASA - Associazione Stampa Agroalimentare Italiana.
Il ruolo della comunicazione
Nella conferenza “La comunicazione professionale del caffè e il valore etico dell’informazione”, si è discusso di come, oggi più che mai, il mondo del caffè abbia bisogno non solo di qualità tecnica, ma di un linguaggio capace di raccontarla. Perché - come ricordato dai relatori - la filiera ha ormai raggiunto livelli altissimi sul piano della competenza, ma continua a vivere una comunicazione disallineata, confusa e talvolta fuorviante
La premessa del talk è stata netta: qualità, professionalità e ricerca stanno crescendo con velocità, mentre il racconto del caffè spesso resta imbrigliato tra mode passeggere, semplificazioni commerciali e stereotipi duri a morire. Il consumatore, immerso in un mare di termini e certificazioni, fatica a orientarsi. E questo - è stato ribadito - riguarda tutta la filiera. «Non basta produrre un caffè di qualità: occorre saperlo raccontare», è una delle frasi che ha segnato la direzione dell’incontro.
La direttrice Rossella De Stefano (Mixerplanet.com) ha evidenziato i rischi della retorica, delle mode narrative e del sensazionalismo. «Serve un giornalismo tecnico indipendente, capace di distinguere tra trend e valore reale», ha affermato, richiamando all’etica dell’informazione di settore. «I media devono educare senza idealizzare, offrendo strumenti chiari e accessibili al consumatore», ha aggiunto la giornalista del Corriere della Sera Piera Genta sottolineando l’accento sul peso degli stereotipi, a partire da quello sull’espresso italiano. Dalla parte della formazione tecnica, Alberto Polojac ha lanciato un monito opposto ma complementare: l’eccesso di tecnicismo rischia di “escludere” chi il caffè lo beve ogni giorno. Ha introdotto l’importanza del nuovo sistema di valutazione CVA, più leggibile e democratico rispetto ai modelli del passato. Nadia Rossi (Bargiornale, Bar&Caffè) ha riportato il punto di vista dei bar, distinguendo innovazioni autentiche da narrazioni artificiose: «Una comunicazione corretta può aiutare anche a superare la crisi del personale: valorizzare il barista non significa trasformarlo in un supereroe».
Inoltre, dall’ascolto concreto dei baristi, si evidenzia quanto la formazione continua e l’ascolto del consumatore siano fondamentali per orientare scelte, gusti e abitudini Rosalba Graglia, autrice della Guida del Caffè Gambero Rosso, ha spiegato perché il caffè fatica a essere percepito come un prodotto gastronomico: «Manca una narrazione matura, capace di far vivere il bar come un’esperienza culturale e non solo funzionale». La guida, ha ricordato, può essere uno strumento di crescita se non diventa puramente commerciale. Dal mondo della mixology, infine, Rossella de Stefano (Mixerplanet.com) ha ancora ricordato il ruolo crescente del caffè nella miscelazione: un ingrediente che richiede “narrazione, tecnica e precisione”.
Il cuore del confronto si è espresso in una frase che è diventata filo conduttore dell’intera conferenza: "Il caffè è un cerchio virtuoso: ciò che parte dal produttore si compie nel consumatore, attraverso la professionalità di chi lo racconta". In questo cerchio, la comunicazione non è un accessorio, ma una competenza che: orienta, educa, connette la filiera al pubblico, chiarisce, restituisce valore al lavoro di tutta la filiera Il comunicatore, che sia barista, giornalista, formatore o guida, diventa un ambasciatore del caffè.
Il Manifesto delle C: una grammatica condivisa per raccontare il caffè
Da questo confronto è nato il Manifesto della Comunicazione del Caffè, un documento simbolico che raccoglie le parole chiave per una comunicazione etica, competente e responsabile. Una lista che non vuole essere esaustiva, ma ispirazionale: Competenze, Curiosità, Consapevolezza, Condivisione, Cultura, Coerenza, Chiarezza, Comunità… fino alla “Crema”, al “Cupping” e alla “Ciliegia”: elementi che dialogano tra tecnica e narrazione, tra quotidianità e filiera.
Questo l’elenco scaturito ieri, certamente un inizio promettente:
1. Competenze
2. Curiosità
3. Coerenza
4. Consapevolezza
5. Confezione
6. Comunicazione
7. Costo
8. Caffetteria
9. Caffè in cucina
10. Consumo – Compagnia –
11. Condivisione di contenuti
12. Connessione tra le persone
13. Cupping (la lingua internazionale del caffè)
14. Coffee Value Assessment
15. Ciliegia
16. Chiarezza (trasparenza nel prodotto e nella comunicazione)
17. Crema dell’espresso
18. Cultura
19. Capacità
20. Casa
21. Cappuccino – Caffelatte
21. Calore
22. Comunità
Il manifesto — hanno spiegato i relatori — è soprattutto un impegno: raccontare il caffè con verità, senza semplificazioni che svuotano di senso il lavoro delle persone.
L’incontro si è chiuso con una frase che sintetizza il sentimento condiviso: «Raccontare bene il caffè significa rispettare chi lo coltiva, chi lo serve e chi lo beve. La comunicazione è parte della qualità». Ed è proprio da qui che si apre la strada per il futuro. Oggi il caffè è un prodotto in rivoluzione: nuove tecniche, nuovi consumatori, nuovi linguaggi. Creare un nuovo manifesto comunicativo, aggiornato, moderno e condiviso — figlio del Manifesto delle C — significa dotare il settore di una bussola comune. Una bussola che orienti professionisti, media e appassionati verso un racconto più etico, più autentico e più vicino al caffè reale: quello che nasce da una ciliegia, attraversa mani competenti e finisce nella tazza di milioni di persone ogni giorno.
Un manifesto che non vuole imporre regole, ma aprire conversazioni. Perché la qualità del caffè, oggi, passa anche dalla qualità delle parole.
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