caffè
04 Agosto 2025
La competizione interna di Ditta Artigianale è una scuola di futuro (e una dichiarazione d’amore per il mestiere del barista)
Che senso ha una competizione interna tra baristi? Se a chiederlo fosse uno qualunque, verrebbe da rispondere: serve a crescere, a stimolare il confronto, a misurarsi. Ma se a farlo è Francesco Sanapo, la risposta si fa più ampia e radicale: serve a “mettere nella testa - e soprattutto nel cuore - di chi lavora in questo mestiere l’importanza della figura del barista”. Serve a dare forma a una cultura diversa del caffè. Una cultura viva, inclusiva, che si costruisce a partire dalle persone, non solo dal prodotto. Serve – lo dice lui stesso – “a farli volare”.
Il 22 luglio, alla Scuola del Caffè di Ditta Artigianale, nel cuore di Firenze, si è svolta la seconda edizione della competizione interna di Ditta Artigianale, l’accademia internazionale dedicata alla formazione e alla diffusione della cultura dello specialty coffee. Un appuntamento aperto al pubblico, organizzato con lo stesso rigore tecnico delle competizioni ufficiali. Una sfida all’ultima tazzina, tra espressi a regola d’arte, bevande a base latte ed estrazioni filtro, che ha coinvolto sette giovani professionisti della squadra - cinque baristi e due brewers - in vista dei Campionati Nazionali SCA, in programma a gennaio al Sigep di Rimini, la fiera di riferimento per il settore. Non un semplice esercizio di stile, ma una vera selezione interna per individuare chi rappresenterà Ditta Artigianale in contesto competitivo. I partecipanti hanno avuto 10 minuti a testa per presentare, spiegare e servire due espressi e due bevande al latte (per la categoria Barista) o due estrazioni filtro (per la Brewers Cup), accompagnati da un racconto personale e da evidenze tecniche sul profilo sensoriale, le scelte di tostatura, le variabili di estrazione. A valutare le performance, una giuria ufficiale SCA composta da Luca Ventriglia (coordinatore), Federica Parisi, Marco Pizzinato e Andrea Antonelli, con la partecipazione straordinaria di Andrea Lattuada, punto di riferimento per la formazione e la certificazione internazionale. Un parterre di giudici esperti, chiamati non solo a valutare parametri oggettivi, ma anche a riconoscere il potenziale umano e narrativo di ciascun candidato. Il risultato? Non si è misurato in semplici punteggi, ma in gesti, parole, concentrazione, emozione. Una vera e propria palestra per il futuro, in cui la tecnica diventa linguaggio e ogni tazza è un racconto che si fa strada tra palato e cuore.
VINCITORI, MA NON SOLO
A conquistare il primo posto nella categoria Barista è stato Cesare Spinella, con un percorso tecnico di straordinaria precisione costruito sul concetto di superamento dei limiti: Geisha colombiano (Finca El Mirador) lavorato in “dark room natural”, pre-infusione a 50 °C per 30 minuti, 20 g in / 45 g out, TDS 1,5%. Note di prugna, macadamia e mirtillo. Nella milk beverage, un Caturra low caffeine da Finca Los Nogales, con fermentazione estesa al mosto e firma tropicale: banana, mango, mandarino.
Accanto a lui sul podio, Salvatore Sanapo (secondo) e Christian Dorado (terzo). Salvatore ha presentato ai giudici un SL28 della Finca Santa Teresa (Costa Rica, 2000 m s.l.m., lavorazione white honey): una scelta non banale, varietà kenyana trapiantata in suolo centroamericano, che diventa metafora del suo vissuto – adattarsi senza snaturarsi. La sua estrazione – 20 g in, 38 g out in 26 secondi – racconta un equilibrio perfetto tra lime, mora e miele. Il signature drink, una “panna gelato” al lattosio con tarte tatin e pesca matura, è comfort e poesia. Christian Dorado, l’anima milanese della squadra, in meno di un anno è passato dal banco al palco di una gara (leggi anche qui). Il suo Typica Mejorado (Costa Rica, Tarrazú, 2000 m), lavorato in white honey, lo rappresenta in tutto: eleganza latina, dolcezza innata e un’anima che si plasma ma non si piega. Doppia estrazione: 20 g in / 50 g out per l’espresso, 22 g in / 33 g out per il cappuccino, con blend di latte intero e delattosato distillato a freddo. Risultato? Una tazza che sa di cioccolato, marmellata d’arancia e memoria.
Nella categoria Brewers, Giuseppe Morelli e Claudio Guri hanno dimostrato che un filtro può avere lo stesso impatto emotivo di un espresso ben fatto. Anzi, forse di più. Morelli ha scelto un Yellow Catuai del Costa Rica (Los Santos, anaerobico naturale), tostato da Francesco Masciullo: una sinfonia di prugna, amarena, cacao e acidità malica. Ma è la ricetta a stupire: V60 in metallo, tre granulometrie combinate (570, 630 e 690 micron), blend di tre acque commerciali (70 ppm di durezza, 50 ppm di TDS). Il gesto tecnico si fa ricerca, la ricerca diventa arte. Claudio Guri fa salire tutti a bordo. Letteralmente: la sua presentazione è un volo immaginario verso la Costa Rica. Il caffè? Ancora Yellow Catuai di Martín Ureña Quiros, lavorato in anaerobico naturale, estratto con metodo Switch (15 g in, 225 g acqua a 91 °C, ratio 1:15). La degustazione avviene in tre fasi: caldo, tiepido, freddo. Una mappa aromatica in cui mandorla, cacao e frutti rossi emergono a ogni latitudine della temperatura.
FUORI DALLA ZONA PODIO, DENTRO L'ESPERIENZA
Ma la gara non si è giocata solo nei punteggi. Con Doriana Metaliaj, unica donna in gara, arriva l’Etiopia e arriva il coraggio. Da Guji Kercha, un microlotto anaerobico naturale con varietà autoctone (Kurume, Wolisho, Dega) diventa la base di un racconto identitario, sincero, non scontato. Due tostature differenti unite (16 + 4 g), estrazione da 46 g, e in tazza note di uva, prugna, cacao e lime. Il cappuccino? 19 g in, 50 g out, latte intero al 3,7%: miele, caramello salato, setosità. Gianmarco Mariani è quello che osa: il suo Honduras Finca El Puente (Catuai, anaerobico naturale) viene “ossigenato” con sfere di vetro per valorizzarne la complessità. Una scelta che lo avvicina al mondo del vino e trasforma l’espresso in esperienza verticale. 20,5 g in – 41 g out: ananas, miele, uvetta. Anche nella versione cappuccino (19,5 g in – 40 g out), il latte delattosato al 3,7% amplifica morbidezza e toni di nocciola tostata.
FORMAZIONE E CULTURA DEL CONFRONTO
Dietro ogni presentazione, ci sono ore e ore di allenamento. E dietro ogni allenamento, la regia formativa di Simone Amenini, trainer di Ditta e punto di riferimento per la Scuola del Caffè: «Rispetto alla prima edizione, l’approccio è cambiato. Abbiamo introdotto una novità importante: alla fine di ogni performance, il concorrente presenta le sue bevande anche agli altri. È un modo per imparare dal confronto. È formazione collettiva, non solo personale».
Un’idea condivisa anche da Sanapo, che non perde occasione per ricordare cosa c’è in palio davvero: «Non mi interessa se uno di questi ragazzi diventerà un ‘big’. Mi interessa sapere che oggi hanno imparato qualcosa, che hanno trovato il coraggio di mettersi in gioco. Perché questa – lo dico con sincerità – è una professione vera, che ha bisogno di consapevolezza, e ha bisogno di cuore».
UNA GARA, MOLTE DIREZIONI
Se il mestiere del barista è fatto di rigore e ospitalità, la competizione interna di Ditta Artigianale lo dimostra con chiarezza. Nessuna tazza è solo una tazza: è ricerca, è racconto, è identità. I vincitori sono importanti, certo. Ma lo sono anche i compagni di viaggio. E lo è l’ambiente che permette a tutti di sentirsi parte di qualcosa di più grande.
Alla fine della giornata, nella Scuola del Caffè, non è rimasta solo l’aroma di caffè: è rimasta una consapevolezza più matura del mestiere. E una promessa implicita: che ogni sorso, da oggi in poi, sarà anche un po’ più consapevole. Un po’ più nostro.
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