bevande
14 Marzo 2013
Realtà giovanissima (è nata a ottobre 2012) che ha riunito alcuni addetti di sala e sommelier 30enni o poco più che lavorano in grandi ristoranti, Noi di Sala ha un obiettivo preciso: ridare dignità e impulso presso i giovani alla professione del cameriere, o chef de rang come lo chiamano i francesi, che sembra “essersi smarrita”.
In pochi mesi, a riprova che l’esigenza che sta dietro al progetto è realmente sentita, l’associazione ha bruciato le tappe: a febbraio la presenza a Identità Golose che per la prima volta ha dedicato una giornata alle Identità di Sala e, a inizio marzo, la partenza del “corso zero” presso Eataly Roma: 8 lezioni teorico-pratiche per imparare la filosofia della professione che spaziano dall’allestimento della sala alle tecniche di servizio, all’accoglienza ma toccano anche la psicologia del cliente e la gestione dell’imprevisto tra sala e cucina.
«Oggi tutti vogliono fare i cuochi – afferma Luca Boccoli, vicepresidente di Noi di Sala - con il rischio di avere chef disoccupati mentre la richiesta per un personale di sala formato, che è ampia e costante, è mal coperta perché non c’è una formazione adeguata. La realtà poi è ben diversa da come la presentano in tv: il cuoco sta chiuso in cucina al caldo, stressato, inizia a cucinare alle 8 di mattina e suda; noi siamo puliti, eleganti, dialoghiamo con il cliente, lo informiamo e lo facciamo stare bene».
Cosa deve avere un addetto di sala per essere all’altezza? «L’educazione innanzitutto. Il sorriso. L’accoglienza: ogni cliente deve essere trattato come un ospite, e questo vale nel ristorante stellato come in pizzeria. Ci vuole anche una buona cultura, sapere di celiachia e intolleranza alimentari, conoscere a fondo la materia e la merceologia degli alimenti. Ma è importante anche sapersi vestire e presentare bene».
La professione di sala è spesso vista come un ripiego e giudicata “facile”. E invece, è proprio il servizio a decretare il successo o meno di un locale e può «addirittura migliorare il sapore di un piatto». Senza considerare che è in sala che si vende il prodotto. Eppure «mancano i maestri, non c’è stato ricambio generazionale negli ultimi 20 anni, è difficile trovare punti di riferimento. La sala è rimasta troppo indietro rispetto all’evoluzione della ristorazione». Forse è arrivato qualcuno che può colmare il vuoto.
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